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di Massimo Corsaro*

“Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi. Innanzitutto non facendo più finta che tutto è come prima”, ha detto Tiziano Terzani. Il riferimento era ben altro, ma il senso è applicabile agli  spezzati equilibri politici della nostra complicata Nazione. 
La nascita del Governo Renzi suggella pubblicamente un passaggio storico di portata epocale per la politica italiana: la sinistra ha voltato pagina, nei volti, nei modi e nelle parole d’ordine; anche se l’ha fatto con una certa discutibile violenza di esecuzione.

Di là, dopo aver divorato una lunga serie di pretendenti leader accomunati dalla vocazione alla sconfitta, hanno deciso di affidarsi ad un giovanotto che  parla un linguaggio non ortodosso per la sinistra e che raccoglie più critiche che consensi nelle segrete stanze delle sezioni di partito, ma che offre l’idea di qualcosa di “nuovo”, o almeno di non compromesso con le ultime fallimentari stagioni.

A destra, pur nella consapevolezza che un passaggio di rottura sia necessario, è finora mancato il coraggio perché qualcosa di simile accadesse, e questo a mio avviso deve essere il tema principale che Fratelli d’Italia dovrà affrontare nel Congresso dell’8 e 9 marzo prossimi.  Diversamente che a sinistra, dalla nostra parte c’è sempre stato un unico leader, vincente e carismatico, certamente ancora titolare di ampio consenso, al quale però non si può chiedere oggi di costruire ciò che non si è edificato nei 20 anni in cui lo stesso Berlusconi ha saputo incarnare ambizioni e speranze degli italiani come nessuno prima di lui.

Ora, mentre un popolo di centrodestra ha già chiuso questa storia d’amore durata vent’anni (la perdita di milioni di voti, la mancata realizzazione di troppe promesse, l’offuscamento di immagine,la diaspora inevitabile ma improduttiva, lasciano poco spazio all’interpretazione) tanti sommessamente solo lo bisbigliano. Io – ora e qui – voglio dirlo a chiare parole. Senza recriminazioni o astio, piuttosto con la deferente gratitudine di chi gli chiede di nobilitare, con un ultimo atto spontaneo, una storia irripetibile. E parlo a nome di chi, per rispetto e riconoscenza, si è fatto mancare la volontà, prima che la forza, di affrontare a viso aperto il grande condottiero per disarcionarlo.

Qui nessuno vuole “uccidere il padre”. Immagino, piuttosto, un nuovo futuro di battaglie per affermare un diffuso pensiero di destra che ancora spera in una società libera dai vincoli della burocrazia, più forte del veto dei sindacati, autenticamente indipendente dai condizionamenti della finanza, in cui ciascuno sappia di poter arrivare tanto lontano quanto il proprio merito gli può garantire e dove lo Stato sappia offrire regole e strutture senza più opprimere con fisco, leggi e autorizzazioni preventive.

Ma anche una società che non esaurisca le sue ambizioni nel materialismo, che rifiuti il politicamente corretto e che sappia difendere la via che ritiene giusta senza temere di chiamare sbagliata quella che non condivide. In cui orgoglio e interesse nazionale prevalgano su vantaggio personale, convenzioni, o istituzioni internazionali; dove la famiglia sia quella prevista dalla natura e non da folcloristici caroselli; in cui la tutela ed il rispetto delle vittime, e non già il perdonismo unilaterale,siano il timone che guida l’amministrazione della giustizia; in cui si accolga chi chiede ospitalità accettando e rispettando le regole di convivenza, senza cedere a falsi pietismi per chi pensa di trovare nell’Italia il ventre molle dell’Occidente. In cui – finalmente – chi si occupa di cosa pubblica sappia essere ed apparire al di sopra di ogni sospetto, riacquisendo il senso etico e legalitario dell’impegno politico il cui offuscamento è stata la prima causa del fallimento culturale di questi anni.

E a tutto ciò non si riuscirà mai a dare risposta finché ci sarà Silvio Berlusconi; o meglio, finché dalla parte opposta di un centrosinistra che ha appena fatto la rivoluzione, si rinuncia a reagire accettando un cupio dissolvi in cui i cortigiani più scaltri e spregiudicati si scannano per poter godere degli ultimi benefici che il capo tanto adulato e sfruttato può ancora elargire nella sua parabola finale. Berlusconi è stato insostituibile per due decenni, ma ora dovrà essere proprio lui a scendere dalla nave, esortando tutti i  migliori marinai a prenderne la guida per seguire una rotta che continuerà a portare la sua firma. E’ troppo intelligente per non sapere di essere egli stesso, oggi, il principale ostacolo alla rinascita di un centrodestra che competa per governare e non per sopravvivere; è così giustamente fiero della propria storia da dover rifiutare un epilogo alla Fini, che sulla scorta dell’invidia e del livore di storia ne ha distrutta una non sua ma di una comunità che gliene aveva affidata la rappresentanza.

Senza emancipazione dal Cavaliere, la nostra metà del cielo si trasformerebbe, a  confronto col “nuovismo di facciata” del putto fiorentino, in una triste rappresentazione da fine impero dove l’ancoraggio alla poltrona prevarrebbe sulla volontà di rappresentare una credibile alternativa di governo.

E mentre di là, con la nascita del nuovo Governo, ci proveranno tutti quelli che ritengono di aver qualcosa da dire, indipendentemente dalle provenienze nella geografia della sinistra, di qui non possiamo  perdere altro tempo, e senza più classificarci secondo la vicinanza vera o presunta con chi ci ha sin qui interpretati e guidati dobbiamo rendere autentica una nuova storia, mostrandoci all’altezza di un ruolo non più di semplici comprimari. Senza gelosie o rancori, con l’intelligenza di volgere lo sguardo ad un futuro più importante della garanzia di un posto in lista tra qualche mese.

Una stagione è passata, a destra, perdendo tante, troppe occasioni per cambiare davvero; per ridare alla politica dignità e primato etico, per coinvolgere, appassionare.

Se sono spariti milioni di voti, non è perché gli italiani non si riconoscono più in queste idee, ma perché non credono più alla capacità di chi avrebbe dovuto rappresentarle. Quei voti, per tornare, aspettano un cambio della guardia; vogliono che finisca il minuetto dei soggetti e delle sigle che si occupano di sopravvivere piuttosto che  rispondere e rilanciare la sfida.

Tanti, ancora, sono gli italiani che ci credono e se lo aspettano. Se non ora, quando.

*Deputato di Fratelli d’Italia

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