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L’intervista di Barbara Fiammeri

Mario Draghi è appena salito al Quirinale per confrontarsi con il Capo dello Stato. La parola crisi rimbalza tra i parlamentari. Giorgia Meloni non si mostra sorpresa. «Era inevitabile, si sta materializzando quanto Fratelli d’Italia dice da sempre, dall’inizio di questa legislatura, e cioè che bisogna tornare il prima possibile al voto per dare all’Italia un Governo forte e coeso e soprattutto deciso dagli italiani. A meno che la mossa di Draghi serva in alternativa a spaventare quei parlamentari incollati alla poltrona. Questo è il momento delle scelte, non si può pensare di andare avanti così, affrontando una fase complessa e drammatica come mai dal dopoguerra con una maggioranza che litiga su tutto mentre i cittadini fanno i conti quotidianamente con l’aumento vertiginoso delle bollette e la perdita del potere d’acquisto dei loro salari».

A proposito di salari: tra poche ore il premier incontrerà a Palazzo Chigi i sindacati per confrontarsi sulle misure della prossima legge di Bilancio, a partire da quelle per arginare gli effetti dell’inflazione. Cosa si aspetta? «Sinceramente molto poco. E per le stesse ragioni che hanno portato il presidente del Consiglio al Colle ora. I lavoratori non riescono a mantenere con i loro salari le famiglie e il ministro del Lavoro assieme a Cinque Stelle parlano di salario minimo fingendo di non sapere che in Italia oltre il 90% dei dipendenti è coperto da contratti collettivi nazionali siglati da Cgil, Cisl e Uil. Ma di che parliamo?»

I sindacati in realtà chiedono anzitutto di mettere al riparo le buste paga dall’inflazione. Il Governo ha aperto sul taglio del cuneo fiscale… «È una strada che ci trova da sempre favorevoli perché per noi il lavoro è la priorità. Lo riteniamo da tempo tant’ è che chiedemmo a Draghi lo scorso anno di concentrare gli 8 miliardi sul cuneo fiscale e invece si preferì un impercettibile abbassamento dell’Irpef di cui non si è accorto nessuno. Ora ci risiamo. Confindustria ha proposto un taglio del cuneo fiscale di 16 miliardi di cui due terzi ai lavoratori e un terzo alle imprese, è anche la nostra proposta ma temo che pure stavolta il governo la accantonerà o la trasformerà nell’ennesima misura ininfluente».

C’è il problema di dove reperire le risorse: in Parlamento, a partire da M5s ma fino a qualche tempo fa anche la Lega, si chiede un nuovo scostamento di bilancio. Pensa anche lei che sia necessario? «Dall’inizio dell’emergenza Covid abbiamo speso 200 miliardi in deficit, crede davvero che non si potevano trovare 16 miliardi per il cuneo? Lo ripeto ancora una volta: è una questione di scelte e in questo governo la maggioranza relativa ce l’hanno il Pd e M5s, quindi si continuano a gettare miliardi su una misura fallimentare come il reddito di cittadinanza oltretutto fonte di abusi e non si tutela chi sta subendo gli effetti devastanti provocati dalla pandemia prima e dalla crisi ucraina ora».

Lei sostiene che il voto darebbe agli italiani un governo forte e coeso ma sulle sanzioni e in generale sull’atteggiamento rispetto alla guerra con Putin, la sua posizione è più vicina a quella di Draghi che a quella di Salvini. Quale linea prevarrebbe? «Sulla scelta di sostenere l’Ucraina in modo deciso assieme a tutti i nostri alleati occidentali non ci possono essere tentennamenti. Su questo in un futuro governo di centrodestra la garanzia è Fdi. Ma allo stesso modo e con altrettanta forza va sostenuta la creazione immediata di un fondo di compensazione per fronteggiare gli effetti di questa crisi che deve essere finanziato non solo dall’Europa ma anche dagli altri partner occidentali, Stati Uniti compresi. Se non interveniamo in tempi rapidi non solo la tensione sociale crescerà ulteriormente ma ci sarà un allentamento della solidarietà verso l’Ucraina. E questo è un effetto politico pericolosissimo, una vittoria per Putin e Xi Jinping che guardano ben oltre l’Ucraina».

Cosa vuol dire? «Per decenni siamo stati convinti che la globalizzazione senza regole avrebbe aumentato e distribuito la ricchezza e indebolito i regimi dispotici. Oggi amaramente constatiamo che è accaduto il contrario. Non solo c’è stata una concentrazione della ricchezza e un vertiginoso impoverimento della middle class ma le nostre democrazie si sono indebolite e sono diventate più vulnerabili a causa di scelte scellerate. E non è finita: noi oggi subiamo il ricatto del gas della Russia per non esserci resi per tempo energeticamente autosufficienti e dipendiamo dalla Cina per tutto ciò che riguarda l’elettrico. Non abbiamo curato e continuiamo a curare poco le catene della produzione».

Lei è molto critica nei confronti di Bruxelles e ha duramente contestato la scelta di mantenere gli obiettivi per la transizione ecologica: cos’è che non la convince? «Credo molto nella transizione energetica, nel diversificare le fonti di approvvigionamento per renderci indipendenti. Ma altro è scegliere ideologicamente, perché di questo si tratta, di accelerare il passaggio delle auto all’elettrico. Solo in Italia si mette a rischio il futuro di 700mila lavoratori ma soprattutto così rafforziamo la dipendenza da Pechino. Follia. Anche perché è una scelta fatta in nome della transizione ecologica in modo ipocrita perché sappiamo benissimo che le materie prime per realizzare le auto elettriche la Cina le reperisce in Africa inquinando e non tutelando l’ambiente. Quello che manca è una strategia, una politica industriale così come una politica estera e di difesa. L’Europa si è presentata all’appuntamento con la Storia impreparata e ora ne paghiamo le conseguenze».

Lei parla spesso della insufficienza delle catene di approvvigionamento in Italia come in Europa: in che modo si può uscirne? «
Abbiamo assistito a confronti europei surreali su come si cucinano gli insetti o sulla cottura della pizza ma non ci siamo preoccupati di non essere autosufficienti non solo per quanto riguarda l’energia o la difesa o i microchip ma neppure sul fronte alimentare. Siamo deficitari su quasi tutti i fronti ma quando lo dicevamo ci attaccavano dandoci degli autarchici. Se fossi al posto di Draghi questo tema lo porrei con forza a Bruxelles».

Per la prima volta è stato emesso debito comune per finanziare Next generation Ue e i Piani nazionali che ne sono seguiti. Non crede sia un bel salto in avanti? «Certamente, ma allo stesso tempo sostengo che è miope chi dice che vanno mantenuti gli stessi obiettivi decisi allora, prima della guerra, prima dell’impennata dei prezzi delle materie prime, che non sono solo gas e petrolio. Ma davvero pensiamo che si potranno realizzare i progetti del Pnrr nei tempi previsti? Invece di aggirare il problema, per una volta affrontiamolo per tempo».

Tornando alla politica italiana: andremo a votare con questa legge elettorale oppure anche Fratelli d’Italia medita di rivedere il Rosatellum per andare verso un sistema totalmente proporzionale magari con un premio di maggioranza? «Sono da sempre per il maggioritario, per una legge che la sera delle elezioni determini chi governa e chi sta all’opposizione. Ma al di là del merito della questione l’idea che mi sono fatta è che si parli di legge elettorale adesso solo per evitare le elezioni. Esattamente quello che noi invece vogliamo».

A proposito: c’è chi sostiene che non si voterà prima del maggio 2023 e così sarebbe l’attuale Governo a procedere alle 300 nomine che scadranno il prossimo anno… «Se davvero stesse ipotizzando di posticipare le elezioni sarebbe gravissimo. Mi aspetto che il premier e il Capo dello Stato smentiscano quanto prima. E su questo interpellerò anche gli alleati del centrodestra».

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