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Per il lettore italo-argentino la parola foibe può essere una parola sconosciuta, prodotto di una calcolata invisibilità, di una negazione o di un riduzionismo “politicamente corretto”, comunque, ecco un’ introduzione: le foibe sono abissi del Carso (attorno alla città adriatica di Trieste e al confine italiano con l’ex Jugoslavia) in cui furono sepolti i corpi di decine di migliaia di italiani autoctoni provenienti da Venezia Giulia, Quarnano e Dalmazia assassinati dal partito comunista dell’ex Jugoslavia.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 i partigiani del maresciallo Josip Broz, nome di guerra Tito, diedero luogo a crescenti episodi di violenza contro la popolazione italiana in questi territori, violenze non rivolte ai membri del crollato regime fascista ma a tutti gli italiani ora considerati nemici del popolo (con l’eccezione dei comunisti).
Per comprendere l’ascesa al potere di Tito è necessaria una precisazione preliminare.
Il Regno di Jugoslavia (slavi del sud), la cui denominazione colloquiale risale al 1918, era l’espressione di un ideale storico originario del XIX secolo secondo il quale gli slavi del sud condividevano una cultura comune, purtroppo una diffidenza reciproca tra croati e serbi non fu certamente di aiuto, poiché i primi vedevano in un Re di origine serbo una sorta di eccesso di potere e che loro contrastavano con un nazionalismo estremo, ignorando che il Re si deve a tutti ed è garante di tutte le etnie del suo territorio.
Di questa Dinastia (Karadjordjevic) in particolare, il Re Pietro andò in esilio prima in Grecia nel 1941 prima dell’occupazione nazista, stabilendosi in seguito a Londra formando un governo in esilio e addestrandosi nell’arte della guerra accademicamente e nella Royal Air Force.
Nonostante i suoi sforzi nella lotta contro la Germania nazista, in senso stretto, bisogna ammettere che colui che riuscì a sconfiggerli efficacemente furono Tito e i suoi partigiani, gloria antinazista coronata da immediata tragedia: appena finita la sua guerra, si dedicò all’annientamento le sacche della resistenza Serbia, un compito disastroso completato nel 1946.
Le vittime delle foibe per mano di questa dittatura comunista sono un esempio locale di un processo generale compiuto in tutti i territori in cui il movimento comunista jugoslavo ha avuto la sua presenza e riflettono non il grande popolo slavo nelle sue varianti ma l’anti-spirito, vendicativo, materialista e violento del comunismo le cui milizie non hanno esitato ad esempio a profanare le tombe delle monache per fotografarsi in segno di vendetta in Spagna.
Parimenti, nelle foibe, si è fatto ricorso ad un antico aspetto rituale con il lancio di cani neri sacrificati in segno di disprezzo per le anime delle vittime, soprattutto nel Carso e in Istria.
In assenza di un Re come garante delle libertà fondamentali, questo regime totalitario si è concentrato con particolare interesse a prevenire l’espressione dell’identità nazionale e la dialettica costante di un nemico da annientare, loro sapevano bene che la fortezza d’un popolo è  l’identità.
Una frase attribuita a Voltaire dice “ai vivi è dovuto rispetto, ai morti nient’altro che la verità” e di certo gli italiani non dimenticano questo genocidio e lo ricordano dal 2005 come “il giorno della memoria”.
Alle vittime italiane delle foibe e alle vittime jugoslave del comunismo dedichiamo un pensiero e agli esuli sopravvissuti, tra cui un amico della città di Pirano, il nostro rispetto.

A cura di Ezequiel Toti

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