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Nella giornata di oggi nasceranno in Italia 1369 bambini. Ognuno di loro troverà ad attenderlo 33mila euro di debiti. Questo macigno è stato caricato da una generazione che ha banchettato con le risorse statali, alzandosi da tavola senza pagare il conto. All’oste i politici dell’epoca devono aver detto: “Aspettate un paio di decenni e qualcun altro pagherà”.  

Oggi l’impresa che abbiamo di fronte è paurosa: ridurre un debito di 2000 miliardi in crescita costante. La sfida è portare il rapporto debito/Pil sotto il 100% nell’arco di 5 anni.

Non è possibile credere che la politica del rigore, fatta di maggiori tasse, sia la ricetta per abbattere il debito. La proposta migliore resta: ridurre la spesa improduttiva e favorire la crescita. 

Le scelte:

Ridurre lo stock del debito:

  • Alienazione di parte del patrimonio immobiliare pubblico e valorizzazione delle concessioni di Stato.
  • Vendita delle società reputate non “strategiche” partecipate dal Tesoro, dalle Regioni e dagli enti locali.
  • Stipula immediata di un accordo con la Svizzera, come fatto da Germania, Austria e Regno Unito,  per tassare i capitali nascosti dagli evasori italiani nei forzieri delle banche elvetiche.

Ridurre la spesa pubblica:

  • Riduzione della spesa pubblica, tagliando gli sprechi e le inefficienze.
  • Lo Stato torni a svolgere il ruolo che gli è proprio, arretrando rispetto a un protagonismo eccessivo sul mercato di beni e servizi. Oggi si contano 4942 organismi partecipati dagli enti locali, ai quali vanno aggiunti quelli partecipati da Regioni e Stato centrale. Si tratta di enti, aziende e società che agiscono nei settori più disparati (meno del 60% di questi si occupa di “servizi pubblici locali”) e che registrano ogni anno diversi miliardi di perdite. La macchina pubblica deve continuare a svolgere poche cose, quelle che le riescono bene, e a un giusto costo per la collettività, senza abbandonare le sue funzioni vitali: sanità, giustizia, istruzione, sicurezza, difesa, servizi essenziali e strategici. Tutto il resto deve essere lasciato alla libera concorrenza.

Interventi sulle entrate dello Stato

  • Lotta all’evasione fiscale. L’imposta annua evasa in Italia è stimata tra 120 e 180 miliardi. La metà deriva dall’economia criminale, altre voci consistenti sono l’evasione delle Big Company e il lavoro sommerso. Una parte contenuta deriva dall’evasione delle Pmi e un’altra residuale dai lavoratori autonomi. Sulla base di questi dati, l’azione di contrasto all’evasione deve concentrarsi su attività criminali, Big Company e banche che compongono oltre i 2/3 dell’evasione totale. Inaccettabile  che il fisco abbia mosso contestazioni alle banche italiane per una somma intorno ai 5 miliardi per imposte non pagate e sanzioni, recuperando solo 1 miliardo, o che la Corte dei Conti abbia contestato alle società di gioco d’azzardo 98 miliardi e lo Stato spera di recuperarne appena 2,5.
  • Introduzione, nei settori a forte sospetto evasione, del “contrasto d’interessi” tra chi fornisce un bene o servizio e chi l’acquista con il sistema della detraibilità del titolo fiscale, come già avviene nelle ristrutturazioni edilizie e secondo le consuetudini di diverse democrazie occidentali.
  • Pieno utilizzo dei fondi comunitari. Nella programmazione 2007-2013 siamo ad oggi a meno del 30% di utilizzo delle risorse disponibili (37,9 miliardi), con addirittura 27 miliardi ancora da spendere. Il rischio è di perdere queste risorse e doverle restituire all’UE, o di utilizzarle, come fatto spesso in passato, grazie a una corsa contro il tempo a discapito della qualità delle iniziative realizzate. Si deve abbattere la farraginosità delle procedure attuative promuovendo azioni di sistema su grandi aree geografiche, introdurre sistemi automatici di sussidiarietà dello Stato centrale per le Regioni in ritardo con l’utilizzo dei fondi di propria pertinenza. Obiettivo zero sprechi.
  • Risvegliare il più grande contribuente d’Italia: la crescita economica. Quando la ricchezza di una nazione si contrae, diminuisce la base imponibile sulla quale lo Stato può contare per le proprie entrate. Grazie alla crescita economica, al contrario, aumenta il gettito dello Stato, anche mantenendo inalterato il livello di tassazione o addirittura riducendolo.
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