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Mentre da mesi siamo travolti da un’epidemia senza precedenti che ha cambiato la nostra vita e non si parla d’altro che di contagi, di ricoveri e di vaccini cosa sta succedendo al nostro immenso patrimonio archeologico, al nostro oro?
L’ho chiesto a Francesco Castellani,
archeologo, specializzato in storia e civiltà del mediterraneo antico, che ora ricopre il ruolo di responsabile del Dipartimento dei beni archeologici del Lazio di Fratelli d’Italia.

D. Francesco, come responsabile regionale del Dipartimento quali iniziative hai intrapreso di recente?
R. Innanzi tutto voglio ringraziare Sovrana Bellezza per lo spazio che mi offre e l’opportunità di parlare di un argomento così importante.
Il Dipartimento è nato da poco tempo e non è stato facile trovare nel settore dei Beni Culturali interlocutori attenti alle nostre proposte. Il nostro obiettivo è instaurare un contatto costante con i rappresentanti delle istituzioni per raccogliere idee e proposte e valorizzare i beni archeologici della Regione.

D. In alcuni comunicati che hai scritto parli di museo diffuso, di cosa si tratta?
R. Roma, come dicono in molti, è un museo a cielo aperto e i suoi rioni raccontano la storia della città attraverso gli edifici, le vie, le piazze. Questo è il concetto di museo diffuso: un percorso di visita dei quartieri di Roma attraverso le sue strade e i suoi monumenti.

D. Ciò riguarda anche i quartieri periferici che custodiscono tesori spesso ancora poco visitati?
R. Si, certo, le periferie di Roma possiedono siti di inestimabile valore, purtroppo abbandonati dai municipi, siti che dovrebbero essere riqualificati, coinvolgendo gli abitanti dei quartieri in questa opera di recupero e di riscoperta di pagine della storia di Roma ancora sconosciute.
Ciò permetterebbe di ampliare l’offerta turistica della città con percorsi culturali all’aperto e una più razionale distribuzione del flusso dei visitatori, aspetti rilevanti con le nuove norme anti contagio in vigore.

D. Qual era la situazione dei nostri musei prima del Covid?
R. Funzionavano molto bene, ogni anno si registravano numeri record negli ingressi, anche se vi era il problema della carenza di personale che si è tentato inutilmente di risolvere con il ricorso a contratti di collaborazione con personale esterno che veniva sottopagato e a volte non pagato affatto.

D. E adesso che siamo in emergenza?
R. La pandemia ha colpito in maniera devastante i nostri musei che in mancanza di visitatori hanno perso gli incassi e sopravvivono con gli esigui finanziamenti del Ministero.
Si parla moltissimo di digitalizzazione e di visite virtuali che sono sicuramente un dato positivo, soprattutto in un periodo di epidemia, ma è evidente che nessuno di questi mezzi può dare al visitatore l’emozione di trovarsi fisicamente nel luogo che sta visitando, per questo la virtualizzazione non può diventare l’unico modo per usufruire del nostro patrimonio culturale.

D. Pensi che anche in tempo di epidemia si dovrebbero tenere aperti i musei?
R. Sono convinto che musei, siti, aree e parchi archeologici debbano riaprire al più presto.
Ovviamente con adeguate misure di prevenzione, distanziamento, disinfezione e sanificazione.
Dopo la chiusura della primavera scorsa, per poter riaprire, i musei hanno speso moltissimo per adeguarsi alle norme anti contagio, salvo poi essere richiusi e dimenticati.
Mi domando quale differenza vi sia tra una libreria, un bar, un negozio e un museo se si adottano tutte le norme previste.

D. C’è una recente iniziativa del ministro Franceschini che riguarda il Colosseo: la ricostruzione dell’arena dei gladiatori. Cosa ne pensi?
R. Il progetto si propone di ricostruire l’arena su cui si svolgevano i giochi dei gladiatori. Franceschini ha parlato di una struttura tecnologica non invasiva delle strutture antiche.
Non condivido questa iniziativa innanzitutto per il costo troppo elevato che richiede la sua realizzazione, 18,5 milioni di euro, e anche per la destinazione a “spazio per eventi culturali” che verrebbe data al Colosseo ovvero spazio per gli eventi più svariati, una sorte che uno dei monumenti più celebri al mondo non merita.

D. Cosa possiamo fare per tutelare il nostro patrimonio archeologico?
Così, d’istinto, mi viene in mente la parola “salvaguardia” ovvero difesa di ciò che di più prezioso abbiamo. Poi penso che è molto importante anche investire nella cultura, nella ricerca. Ma la risposta più corretta alla tua domanda è “tutela”. La riforma “Franceschini” ha avuto effetti devastanti sulle Sovrintendenze che tutelano il nostro patrimonio archeologico e che devono tornare a essere autonome.
Per esempio la Sovrintendenza speciale per Roma è stata privata della sua indipendenza amministrativa e scientifica con esiti disastrosi. Roma si è trovata senza strumenti per tutelare le sue immense ricchezze archeologiche e si è aperto un problema più grave che nelle altre città perché nella Capitale i ritrovamenti sono continui e siamo ancora molto lontani dal conoscere l’entità di un patrimonio in continua espansione.
Un altro aspetto da curare è l’azione congiunta di Stato, Regioni, enti locali, imprese private e associazioni no-profit. Soltanto così potremo proteggere la nostra Sovrana Bellezza.

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