«L’Ecr è il partito delle destre di governo e di chi difende l’identità»
L’intervista di Luca Telese
Onorevole Meloni, adesso che è stata eletta alla guida dei Conservatori e riformisti europei, ricordiamo la prima volta che lei si è sentita leader? «Autunno ’95, liceo Visconti di Roma. Avevo tentato per mesi nelle assemblee studentesche. Spintoni, insulti, persino sputi, ma non ero mai riuscita a parlare».
Non mi dica che ha preso botte. «Erano più raffinati. Non ti dicevano: “Non parli perché per noi sei fascista”, ma: “Ti mettiamo in lista”. Mi presentai alle 8, ini fecero scalare per tutta la mattina. La gente se ne andava, e quando non c’era nessuno mi diedero il microfono. Non avevano capito chi ero». Chi era? «Una persona che non si spaventa facilmente. Mi presentai all’assemblea successiva, mi chiesero se volessi iscrivermi, io risposi di sì, ma salii subito sul palco. Presi il microfono e parlai».
Cosa accadde? «Applausi. E cambiai io». Cosa penso? (Ride) «Che avevano ragione a non farmi parlare. Iniziai a girare tutte le scuole, e da allora non ho più smesso». Un altro passaggio: il congresso all’ultimo voto in cui fu eletta segretaria di Azione giovani. «Mi candidai non perché volessi emergere, ma un po’ alla Frodo».
Frodo Baggins del Signore degli Anelli? «Sì, quando dice: “Lo porto io l’anello”. Non lo fa per sé, ma perché pensa di dover fare la sua parte». Era deciso che il leader dei giovani dovesse andare alla Destra sociale… «Anche lì: l’unico congresso vero che si fece in quegli anni in An, sono andata in battaglia e, dopo uno scrutinio da infarto, abbiamo vinto. Mi è rimasto un metodo. La gran parte di coloro che si sfidarono quel giorno sono parlamentari o dirigenti di Fratelli d’Italia. A partire dal mio rivale di allora, Carlo Fidanza, ora capo delegazione di FdI al Parlamento europeo. Oggi possiamo essere quelli del 18% perché ieri abbiamo avuto il coraggio di essere quelli del 2%».
Berlusconi le propose di fare «la delfina». «Ero stata ministro del suo governo, seppe che stavo per uscire, chiamò per recuperarmi. Disse: “Giorgia, qual è il problema?”». Uscì, ma alle politiche prese l’1,96% e nove deputati: pentita? «Partendo da zero, in tre mesi, senza soldi, e senza dover dire grazie a nessuno? Era l’inizio di una grande storia, e non sbagliavamo». E se avesse fatto la «delfina»? (Ride) «I delfini hanno quasi sempre fatto una brutta fine».
E il suo racconto dell’Europa come cambierà ora che è leader? «In nulla. Siamo sempre stati convinti che non si può accettare la falsa alternativa tra chi vuole uscire dall’Europa e chi pensa che l’unico modo per starci è in ginocchio». Cosa significa? «Difendere l’interesse nazionale, come tutti gli altri. Costruendo un’Europa nella quale si condividono alcune materie ma si lascia alla competenza degli Stati la gestione delle questioni più prossime ai cittadini. L’Ecr è il partito delle destre di governo, ma anche di chi non accetta l’omologazione, la deriva politicamente corretta, di chi difende l’identità, le tradizioni, i confini».
Può esistere davvero questa Europa confederale? «Non ci siamo inventati nulla. Questo è il modello immaginato da padri fondatori dell’Europa come Charles de Gaulle, il modello delle Patrie e delle Nazioni. E poi: l’Europa politica esiste oggi in Libia? Dove la Francia sposa i suoi interessi in nome delle concessioni petrolifere? In Europa, come ha scritto Orbán, servono persone coraggiose. L’Ecr ha fatto questa scelta».
Orbán spedisce una calorosa lettera nel Ppe. «Ci sono molte idee affini, anche tra lui e i conservatori polacchi, e a me piacerebbe portarlo nell’Ecr». E la Lega la vuole fuori? «Chi lo dice? Non mi risulta che abbiano fatto una richiesta di ingresso». C’è un dibattito fra Giorgetti e Salvini. Giorgetti esprime posizioni simili alle sue, ora. «Non mi pare. Non sono interessata al Ppe. Ma non entro nelle dinamiche di altri».
E Forza Italia? «Pur non condividendola, credo che anche la diversa collocazione di Fi in caso di governo del centrodestra potrebbe rappresentare una ricchezza». La leadership della coalizione si decide sempre nelle urne? «È una regola non scritta, fra di noi, ma è sempre valida. Oltre che buona e giusta. Decidono i cittadini, non fantomatiche piattaforme digitali o oscuri politburo».
Secondo un sondaggio del TgLa7 Fdi ha superato per la prima volta il M5S. Contenta? «Molto. Ci siamo ripresi i nostri voti». Secondo lei quanti erano gli elettori del MSS della vostra area? «Molti: oggi non più. Anni fa sostenevo che il M5S fosse uno strumento truffaldino per prendere i voti a destra e portarli a governare a sinistra. Questo trucco si è svelato, e la destra è tornata a casa».
Lei può parlare a quegli elettori dopo essere stata la più dura avversaria della Raggi a Roma? «Sono stata nemica del bluff, quindi posso farlo. Abbiamo guadagnato credibilità mantenendo la coerenza e loro l’hanno persa tradendo gli impegni presi».
Come immagina la sfida di domani? «Nel mondo ci sono destra e sinistra. E nella destra ci sono molte identità, ricche e diverse. Mi piacerebbe poter rappresentare queste culture avendo come baricentro Fratelli d’Italia. Siamo nati dall’incontro tra l’anima di destra e quella liberale di Crosetto, e poi ci siamo innestati con altre identità, a partire da quella popolare, con Fitto».
A proposito. Si è pentita sulla Puglia? «Per nulla. Io ho candidato Raffaele perché ho privilegiato la competenza. Il problema dei prossimi anni non sarà vincere, ma governare. Vincere senza risolvere non mi interessa. Non mi interessa candidare la gente che prende voti perché fa il fenomeno su Facebook e poi entra nelle Istituzioni senza sapere come si fa una delibera».
Con chi ce l’ha? «Con uno stile che ha attraversato tutta la politica. Penso alle Parlamentarie, ma anche al governatore della Campania. Quando voti qualcuno perché ti fa ridere stai subendo un inganno. È il modello del governatore, come di Grillo: comunicazione che oscura la sostanza».
Anche lei fa le dirette Facebook, come Salvini. Battute comprese… «Per comunicare un messaggio, mai per coprire il fatto che non ho un messaggio. Il confine è pericoloso. Cosa sarebbe successo se avessi detto, come Zingaretti, che se nell’emergenza avesse governato la destra “non sarebbero bastati i cimiteri”? Mi sarei dovuta dimettere. Se avessi detto, come ha fatto Bersani, che con la destra ci sarebbero state le fosse comuni, sarei stata linciata».
Perché? «Lo sa: esiste un sistema di vigilanza mediatica per cui mentre noi veniamo torturati per qualunque virgola, ai sedicenti democratici viene perdonato tutto». Non pensa che questa ipersensibilità sia legata ad esempio alle posizioni sulle mascherine? «Noi non abbiamo preso nessuna posizione ambigua sulle mascherine e sul distanziamento». Salvini, però… «Anche questo non è proprio così. Ma io parlo per noi. Se il governo si consulta con un comitato tecnico scientifico, e non ho evidenze clamorose per contestare questo operato, prendo in considerazione le indicazioni che arrivano. Il che non mi impedisce di dire che è il governo che si comporta in maniera diversa a seconda di chi opera».
Cioè? «Quest’anno non abbiamo fatto Atreju, per senso di responsabilità. La festa dell’Unità invece l’hanno fatta, con fior di assembramenti». Sta insinuando che c’è un filtro politicamente selettivo? «Non lo insinuo, lo dico: qualcuno ha pensato che le mascherine potessero essere un bavaglio contro l’opposizione. La paura in Italia è usata, anche, come uno strumento di governo».
Pensa alla proroga dello stato di emergenza? «Perché dovrei votarla? Non si è fatta in nessuna nazione del mondo. Si bruciano decine di miliardi e si allenta il controllo democratico del Parlamento».
Test di conservatorismo: il cimitero dei feti al Verano. «In primo luogo: io sono stata molto colpita da queste donne che decidono di fare la class action contro la scelta». Le sarebbe piaciuto trovare il suo nome su una tomba? «La questione del nome della madre la comprendo. È anche un fatto di privacy. Ma negare la sepoltura a un feto… Dal concepimento in poi, ognuno di noi è portatore di un codice genetico unico. C’è qualcosa di sacro in questo. E allora perché ti arrabbi se vedi che questo feto viene sepolto? Anche senza nomi. Vedo un furore ideologico in chi fomenta queste donne, e temo chi banalizza il tema dell’aborto».
Cosa pensa la leader dei conservatori europei su questo? «Chiede di rispettare la 194, in tutte le sue parti. La sinistra non lo fa, e fa credere che sia una legge che parla solo di interruzione di gravidanza. La pillola abortiva “fatta in casa” non è contro lo spirito della legge? Non sarebbe più logico offrire alle donne sostegno, magari per portare a termine la gravidanza e dare il bambino in adozione, atteso che ci sono migliaia di famiglie che lo crescerebbero con amore in un Paese a crescita zero? Ci battiamo per offrire le scelte, e per tutelare la vita. Perché per qualcuno l’utero in affitto, un abominio, va bene, ma aiutare una mamma a portare a termine una gravidanza no? Contro questi deliri ideologici io credo che sia tempo di andare in battaglia».
La destra da cui proviene è stata ideologica: pensi ad Almirante sul divorzio. «Il nostro approccio è sempre stato laico, ma di buonsenso».