La leader di Fratelli d’Italia: «Il patto del centro-destra è per gli elettori: nessun gioco di Palazzo. Sono una donna di destra, quando si firma un documento i patti si rispettano»
L’intervista di Paola Di Caro
Alla sua richiesta, con tanto di manifestazione pubblica per supportarla, non rispose nessuno. Né i candidati della Lega, né quelli di Forza Italia, né tantomeno i rispettivi leader. Era il 2018 e Giorgia Meloni aveva proposto un «patto anti-inciucio» per la coalizione del centrodestra in vista di un voto che si preannunciava difficile: «Forse adesso si capisce anche il perché…», sorride ripensando alla nascita del governo gialloverde la leader di Fratelli d’Italia che, oggi, non ha comunque voglia di rivangare il passato. Anzi, pur rivendicando di aver sempre tenuto una posizione e una sola – mai patti e accordi con partiti fuori dal centrodestra – si dice convinta che dei suoi alleati ci si possa fidare: «Ci dicono continuamente che siamo divisi, spaccati, litigiosi, che qualcuno romperà. E invece siamo sempre qui, uniti, assieme. E, a differenza dei partiti di maggioranza, abbiamo un progetto per la Nazione».
Lei quindi è sicura che la dichiarazione di intenti appena siglata sia garanzia perché Salvini non guardi più al M5S e Berlusconi non sia attratto da un ingresso in maggioranza? «Per me, che sono una persona di destra, la firma di un documento ha sempre valore. Ma in ogni caso, né Salvini né Berlusconi, sempre tirato per la giacchetta, hanno dato segnali di cedimento in questo periodo. Le continue voci di una liason con Di Maio dell’uno o di una tentazione di soccorso a Conte per l’altro sono sempre state smentite dai fatti. La nostra coalizione sta insieme per scelta, anche se dall’opposizione è meno conveniente, avremmo aumentato il peso dei nostri partiti andando in ordine sparso. Come hanno fatto Pd e M5S, il cui collante è l’attaccamento alle poltrone, visto che nei programmi e nella linea continuano ad avere poco in comune».
Ma allora a che serve un patto scritto, se non a garantirvi reciprocamente da possibili fughe? «Non serve a noi, serve per essere chiari con gli italiani: a loro diciamo che abbiamo un progetto, una visione di politica economica, dell’Europa, di quello che si deve fare per uscire dall’emergenza, di come far ripartire l’Italia. E abbiamo un’idea di come debbano essere le istituzioni».
Si riferisce all’impegno comune per l’autonomia, il presidenzialismo, la riforma della giustizia, cavalli di battaglia della Lega, vostro e di Forza Italia? «Certamente, la nostra idea di Italia si fonda su alcuni pilastri molto chiari. La battaglia per l’autonomia, che pure era nel nostro programma, non siamo riusciti a metterla in pratica perché purtroppo dopo il voto ci siamo divisi tra governo e opposizione. Ora non accadrà. Autonomia, efficienza di un governo eletto – sia per elezione del capo dell’esecutivo o del capo dello Stato – una giustizia che funziona, stanno insieme, e sono imprescindibili per un patto con gli elettori».
Quindi il messaggio che mandate è? «Che non c’è altro governo che non sia di centrodestra, che non esistono giochi di palazzo, che nel momento in cui la sinistra briga per arrivare ad una legge elettorale proporzionale pro-inciucio, noi diciamo un no netto».
Cosa cambia nel vostro atteggiamento verso il governo, che è in una fase delicata e dovrà presentare il piano per il Recovery Fund ad ottobre? «Oggi lo dice anche Draghi – al cui “partito” io sono tra i pochi non iscritti -, in un discorso che per me è suonato come un richiamo alla gestione di oltre 100 miliardi: non si può fare debito pubblico, che è debito che dovranno pagare i nostri figli, per spese improduttive. Non si possono, aggiungo io, buttare i soldi in reddito di cittadinanza, bonus monopattini, assunzioni per velocizzare le pratiche di regolarizzazione degli immigrati… Qui il rischio è che il governo presenti un piano risibile, sempre che i soldi arrivino davvero, mentre dovrebbero essere gli italiani a scegliere come e chi debba far uscire il Paese dall’emergenza».
Significa che dopo le Regionali, tanto più se doveste portare a casa il risultato in Puglia e Marche, chiedereste le elezioni? «Voglio essere molto chiara. Primo, non si azzardino a dire – come comincio a sentire in giro – che le Regionali vanno rinviate per l’emergenza Covid. Non lo accetteremmo mai, perché non si può usare la pandemia per scopi elettorali, come a volte già è stato fatto».
Secondo? «Noi ci presentiamo alle Regionali per dare un governo migliore nei territori ai cittadini, ma è indubbio che si tratta di un test rilevante anche a livello nazionale. E dunque, se le risposte che arriveranno dagli elettori saranno quelle che immagini