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L’intervista di Vittorio Macioce

La voce di Ginevra in sottofondo: «Mamma con chi stai parlando?». Sono giorni in cui la vita, il lavoro, la famiglia, gli affanni sono racchiusi nello stesso spazio. È il tempo della quarantena, e vale per tutti. Giorgia Meloni traffica con il telefono. Si capisce che sta facendo due o tre cose contemporaneamente. «Mi servono ancora dieci minuti. Chiamo io. Ok?». Ok. Saranno pochi di più e comunque non c’è fretta. Stiamo imparando ad aspettare. «Eccomi. Risolto».

Com’è stare a casa? «Eh. Mi sto abituando. Sono frenetica. È il mio carattere. Fatico a fermarmi e questa dimensione ristretta non mi appartiene, ma sto scoprendo che ha i suoi aspetti positivi. Ginevra per esempio è contenta. Passiamo molto più tempo insieme».

Quanto durerà? «Il tempo che serve a interrompere l’epidemia. Il Nord si sta avvicinando al picco. La speranza è che nel resto d’Italia si riesca a contenere il contagio. Nel frattempo, bisogna pensare al dopo, a come ricominciare. Sarà dura, ma mi fido degli italiani».

Ne usciremo diversi. Cosa ci resterà attaccato alla pelle? «La consapevolezza. Abbiamo scoperto virtù che forse non pensavamo di avere. Ci sono stati errori, ma la maggior parte degli italiani si sta dimostrando responsabile e con un senso di disciplina magari inatteso. Qualche volta anche sdrammatizzando la paura».

Cosa la spaventa del domani? «Il deserto. Aziende chiuse, negozi svaniti, laboratori e officine abbandonati, come cose lasciate lì, dimenticate. Il sistema produttivo italiano in frantumi. Il timore è che tanti possano dire basta, non ce la faccio più, mi arrendo».

Cosa fare? «Aiutarli a resistere. Rendergli la vita più facile. Riconoscere che chi rischia, chi fa impresa, merita fiducia. È un eroe. L’ho detto anche a Conte. Abbiamo bisogno subito di una stagione libera da vincoli. Leva tutto. Facciamo in modo che le assunzioni siano più facili. Rintroduciamo i voucher per i lavori stagionali, in particolare per la raccolta agricola. Fidiamoci. Non spingiamoli a chiudere. Il decreto Cura Italia sta invece favorendo la scelta opposta. Dice, in buona sostanza, metti tutti in cassa integrazione. Tanto c’è poco da fare. Non è normale che il decreto preveda la cassa integrazione per tutti e nessun incentivo per chi non mette nessuno in cassa integrazione e continua a pagare gli stipendi».

È un invito ad arrendersi. «Esatto. La mia idea è diversa. Se un imprenditore sceglie di non ricorrere alla mobilità, lo Stato lo aiuta con l’equivalente di quanto sarebbe costata la cassa integrazione per ciascun dipendente. Questo è un modo per dire: ci rendiamo conto del sacrificio che stai facendo se tu oggi decidi di andare avanti».

Come sono i rapporti con Conte? «Schietti. Ci sentiamo. L’ultima volta prima del vertice Ue. Noi, come promesso a Mattarella, siamo a disposizione della Nazione. Fratelli d’Italia dialoga con il governo. Non propone solo idee e suggerimenti, ma scrive vere e proprie norme che offre a Palazzo Chigi. Alcune vengono accettate, altre no. Noi, però, ci siamo. Sono contenta che Conte voglia ora tutelare le imprese strategiche per l’Italia con una golden share. Lo abbiamo proposto da più di due settimane».

Il virus sta cambiando la politica? «Le crisi mettono a nudo le persone. Questo vale anche per i politici. Mi dispiace per esempio che molti nei Cinque stelle siano rimasti ancorati a polemiche un po’ meschine. Tutti i giorni continuano ad attaccarmi personalmente. Pensano solo al consenso. Significa che non hanno capito cosa sta accadendo. Ripetono lo stesso gioco perché non sanno fare altro».

Qualcosa per lei è cambiato? «Lo spero». Cosa? «In momenti come questi ti fai delle domande. Ti chiedi se sei all’altezza di quello che vorresti essere. Un politico tende a preoccuparsi del consenso. Non può però essere un’ossessione. Impari a fregartene. Fai le scelte che ritieni giuste anche a costo di deludere qualcuno. Le priorità cambiano. Io credo che da questa crisi, come italiani e come classe politica, ne usciremo più responsabili. Migliori. È un’opportunità, ma per coglierla bisogna guardarsi allo specchio e fare i conti con te stesso».

Quanto si sente europea? «Profondamente. Sono cresciuta con il mito dell’Europa. È la mia civiltà, i miei valori». Non si direbbe. «Lo so che passo come feroce antieuropeista, ma non è colpa mia. È la UE che mischia le carte. È come funziona che non mi convince. Si sa, io sono per un’Europa confederale. Un’Europa che lascia ai singoli Stati la libertà di occuparsi delle cose che possono e sanno fare. Sogno un’Europa che c’è quando davvero c’è bisogno. Le grandi questioni: politica estera, magari una difesa comune, le emergenze, come questa che coinvolge tutti. Invece adesso non c’è. È sparita. Non c’è un protocollo comune sul contagio. Non c’è neppure un modo condiviso per contare i malati e i morti. Il risultato è che i dati sono falsi e in tanti hanno cercato di nascondere la realtà».

Non c’è neppure un piano di risposte economiche. La Bce, per esempio, solo adesso si è resa conto che il problema è serio. «La Bce ha fatto del suo meglio per metterci in ginocchio. Come ho già detto non credo che Christine Lagarde sia una sprovveduta. Ha fatto il gioco di Germania e Francia. All’inizio si è pensato che il virus fosse una disgrazia italiana. Noi gli untori. Era l’occasione per saccheggiare le nostre aziende e per rimetterci in riga. È per questo che la Lagarde si è lasciata sfuggire quella frase sullo spread e la Bce non ha usato il cannone sui mercati finanziari. Lo fa adesso perché sono in ballo gli interessi di Berlino e Parigi. Roma invece la vogliono accompagnare verso il fondo “salva-Stati”, che per noi significa commissariamento, fine della libertà, sottomissione. Tutto chiaramente per il nostro bene. Dicono. Come è successo alla Grecia».

Sapremo difenderci? «Fino alla fine, e questa è una promessa». Sono giorni che si fatica perfino a seppellire morti. Ci pensa alla morte? «Non ci pensavo. Poi è nata mia figlia. Da quando c’è Ginevra ho perso la libertà di morire».

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