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“La catastrofe della riforma del Titolo Quinto, approvata a 5 giorni dalla chiusura della XIII legislatura (Governo D’Alema), portava la firma degli allora Ds. Danni accertati e ancora oggi pagati dai cittadini e dalle imprese, contenziosi infiniti per il conflitto di attribuzioni scaturito. Se ne profila ora una nuova, dolcemente secessionista, che sta maturando silenziosamente e che potrebbe sancire la disgregazione dello Stato unitario” – scrive Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, nel suo intervento in merito alla riforma sulle autonomie pubblicato oggi sulle pagine del quotidiano ‘Il Tempo’.

“Il ministro padano per gli Affari regionali Erika Stefani, approfittando del regalo di fine legislatura fatto da un agonizzante Governo Gentiloni, ha illustrato il progetto nell’ultimo consiglio dei ministri. Non si sa bene che cosa ne scaturirà – prosegue Rampelli – sappiamo soltanto che il dibattito che potrebbe mettere a rischio l’Unità nazionale sta avvenendo al di fuori del Parlamento, trattato alla stregua di un atto amministrativo”.

Secondo Rampelli invece “spetta alle Camere rallentare il passo alla fretta leghista, dettata da comprensibili ragioni elettorali. Non può essere l’Italia a pagare la delusione del Nord: il reddito di cittadinanza, l’obbligo di fatturazione elettronica e il mancato varo della ‘tassa piatta’. Attori protagonisti di questa frenata possono essere il M5S, se non scambierà il cosiddetto federalismo con il blocco della Tav, il Pd se non preferirà utilizzare le nuove autonomie per non perdere il governo delle regioni rosse e Fi se non si piegherà allo strapotere leghista nel settentrione. Molto dipenderà dal Capo dello Stato, garante ultimo dell’unità della nazione e dalla Corte costituzionale”. Fra tutte le materie richieste, “quella più inaccettabile – aggiunge Rampelli – è l’istruzione, che ha in sé il processo di regionalizzazione della scuola che deve continuare ad essere l’anima dell’identità culturale italiana”. Capitolo a parte su Roma: “In questa cornice, alla vigilia dei 150 anni dalla proclamazione di Capitale d’Italia, si assiste alla sottrazione di ruolo, quote di pubblico impiego, poteri e pare derubricata a ‘capitale degli straccioni’, martirizzata da una Sindaca e da un Governatore che hanno rinunciato a progetti di respiro. Palesemente incapaci di introdurre temi di scenario sul suo futuro nell’epoca dell’interconnessione totale, che favorisce nuovamente, come dimostra Milano, le grandi metropoli dopo decenni di crisi urbanistica”

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