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Il Ministero invia i suoi ispettori al Forteto; gli ispettori ministeriali chiedono il commissariamento della cooperativa; adesso il Ministero nega il commissariamento. E’ un paradosso, quanto sta accadendo a Roma sul caso Forteto, che si muove a cavallo tra più governi e che non tiene minimamente conto, non solo della relazione degli ispettori, ma neanche delle risultanze della commissione regionale d’inchiesta, né di quanto sta emergendo dal processo penale in corso. A diffondere la notizia sono tre consiglieri regionali toscani: Stefano Mugnai (Fi), che è stato presidente della commissione d’inchiesta sul Forteto e sul sistema degli affidi dei minori in Toscana, Giovanni Donzelli (FdI), promotore in commissione dell’iter che pareva dovesse portare al commissariamento della cooperativa fondata da Rodolfo Fiesoli e le cui redini sono tuttora in mano a suoi fedelissimi e Maria Luisa Chincarini (Cd), segretaria della Commissione d’inchiesta regionale. Molti dei quali, per inciso, attualmente a giudizio per maltrattamenti e abusi sui minori affidati all’interno della comunità e sovente, stando alle testimonianze, fatti lavorare in cooperativa.

«E’ un’assurdità – sbottano oggi Mugnai, Donzelli e Chincarini – che il Ministero ribalti, di fatto, i contenuti della relazione stilata dai suoi stessi ispettori in era Letta. Lo fa adducendo motivazioni in perfetto burocratichese, come se i rilievi emersi nella prima relazione del Ministero fossero solo di natura amministrativa… Certo, ora il governo è cambiato e non sfugge che al suo interno operi, alla guida del dicastero che si occupa di lavoro e politiche sociali, la punta di diamante del mondo delle cooperative ovvero l’ex Vicepresidente nazionale di Legacoop Giuliano Poletti. Coincidenze, certo, come tutte quelle che hanno consentito al Forteto trent’anni di storture», proseguono i tre consiglieri regionali.

Del resto, nella relazione con cui ad agosto 2013 gli ispettori chiudono i loro 4 mesi di investigazione, non c’era nulla di vago. Anzi, osserva Mugnai, «in quelle loro sei pagine, erano giunti a conclusioni affini a quelle individuate dalla commissione d’inchiesta». Effettivamente… «L’organo amministrativo – si legge nella relazione ministeriale – non sembra abbia messo a conoscenza i soci lavoratori (o lo abbia fatto in maniera marginale e superficiale) del contratto di lavoro […] e, cosa assai grave, sembra che alcuni soci abbiano inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari». E ancora: «I soci lavoratori, indipendentemente dalle mansioni effettivamente svolte, sono tutti inquadrati con lo stesso contratto e in unico livello contributivo».  E poi: «L’ente – si legge già a pagina 3 – nega il diritto del socio alla consegna delle buste paga, del Cud e alla corresponsione delle prestazioni straordinarie e festive effettuate». Come se non bastasse: «Emerge con chiarezza – si legge a pagina 4 – un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei soci usciti dalla comunità [… che …] appare gratuito e comunque non riconducibile o giustificabile da irregolarità o comportamenti scorretti del socio nell’ambito del normale rapporto associativo o professionale».

Riassumendo, si rileva la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare aver «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell’organo amministrativo». Che fine fanno, oggi, quei rilievi? «La solita che nel corso di trent’anni avevano fatto anche sentenze passate in giudicato per reati specifici ai danni di minori che, malgrado tutto, il tribunale continuava ad affidare a Fiesoli e ai suoi sodali: quella fine – stigmatizzano Mugnai, Donzelli e Chincarini – è una coltre di silenzio rosso, una sorta di negazionismo in salsa contemporanea che non accenna a finire. Col placet del governo Renzi».

 

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