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Dici Angelo Gaja e ti viene in mente la grandezza del vino italiano.
Questo signore piemontese di bell’aspetto e dai modi eleganti ha lanciato il vino italiano nel mondo, conquistando il posto d’onore nelle carte dei ristoranti più prestigiosi del pianeta.
La sua è una storia d’eccellenza che inizia nel 1859, quando a Alba il trisnonno Giovanni inizia la produzione di Barbaresco.
Intervistare Angelo Gaja è stata una grande emozione.
Non vi racconto come è diventato così celebre nel mondo, ve lo faccio dire da lui, con questa intervista di qualche giorno fa.

D. Quando e come la famiglia Gaja inizia la produzione di vino?
R. La cantina nasce nel 1859, nel Comune di Barbaresco, con il mio bisnonno Giovanni Gaja che affiancò alla cantina una locanda: “L’osteria del vapore” intitolandola alla locomotiva a vapore che sostava alla stazione di Barbaresco. Nell’osteria il mio bisnonno praticava l’arte del “Far sapere” spiegando ai clienti il suo modo artigiano di produrre il vino che stavano assaporando.

D. La sua azienda ha una storia che si dipana attraverso le generazioni, me la racconta?
R. Il fondatore, Giovanni Gaja, affido’ la cantina al figlio Angelo che possedeva il “ Saper fare” ovvero una grande conoscenza di viticoltura e cantina. Nel 1905 Angelo sposo’ Clotilde Rey che era nata in Val di Susa e aveva studiato in collegio a Chambery. In occasione delle nozze Angelo fece stampare un biglietto da visita nel quale si definiva “produttore di vino di lusso” a significare già allora la collocazione del Barbaresco tra i vini delle grandi occasioni. Clotilde Rey ha lasciato un segno profondo in famiglia: ha spronato il marito e il figlio Giovanni a migliorare incessantemente la qualità del vino e ha trasmesso loro il valore dell’artigianato tanto che mio padre Giovanni è stato l’artigiano del vino più completo del secolo scorso: esperto di viticoltura, eccezionale degustatore, sapeva riconoscere le nicchie di mercato che avrebbero apprezzato l’eccellenza della sua produzione. Acquisì il riconoscimento di Maestro e applico’ l’arte del “Saper far fare” trasmettendo le sue conoscenze ai collaboratori. Io sono entrato in azienda nel 1961 e ho fatto miei gli insegnamenti di mio padre. Adesso ci sono mia moglie Lucia e miei figli Gaia, Rossana e Giovanni, tutti impegnati nell’azienda a tempo pieno.

D. Quando è arrivato il grande successo internazionale?
R. L’apprezzamento dei vini italiani negli Stati Uniti, in Giappone, Inghilterra, Svizzera e Brasile è avvenuto grazie al lavoro assiduo e dei produttori italiani negli ultimi trenta anni e ha contribuito a spingere il marchio Gaja sempre più in alto. Noi abbiamo fatto la nostra parte ma il merito va riconosciuto all’intero comparto. Poi è vero che la nostra azienda è stata favorita dal luogo in cui lavoriamo, abbiamo cantine di proprietà forti del prestigio di denominazioni di origine come Barolo e Barbaresco per la cantina Gaja, Brunello di Montalcino per la cantina Pieve S. Restituta, Bolgheri per la cantina Ca’ Marcanda.

D. Qual è il vino della sua azienda che ama di più?
R. Il Barbaresco. Ho iniziato a berlo in giovane età in piccole quantità, a tavola con la mia famiglia. Questa lunga pratica mi consente di “ascoltare” questo vino, di valutare la qualità dell’annata, apprezzarne le sfumature, le armonie e le dissonanze.

D. Quanto è importante il legame con la sua terra per la sua attività?
R. Dico ai miei figli e agli amici produttori che sono fortunati a essere produttori di vino perché possono tenere un piede in natura, “camminando la terra”, vivendo la realtà del vigneto e l’altro piede nel mondo perché i vini “di lusso” richiamano specifiche fasce di consumatori esteri con i quali nascono rapporti di amicizia e complicità. Ciò permette di crescere e ampliare le proprie conoscenze.

D. Come nasce l’azienda in Sicilia?
R. Dall’invito intrigante che l’ottimo produttore locale, Alberto Graci di Passopisciaro, mi ha rivolto cinque anni fa: una joint venture per esplorare il versante sud ovest della Montagna ( Etna NDR ) e valutare la produzione di Carricante.

D. Che differenza c’è tra produrre vino nelle Langhe e in Sicilia?
R. Poca differenza. Ci unisce l’artigianalita’ e il desiderio di produrre vini di grande personalità e charme.

D. I suoi progetti per i prossimi anni?
R. A ottantadue anni è giunta l’ora di lasciarli ai miei figli. La mia soddisfazione è osservarli mentre lavorano con la consapevolezza di svolgere un’attività difficile che da’ grandi soddisfazioni e vederli fare tutto questo con amore.

Alla fine dell’intervista penso che questa è la Sovrana Bellezza.
La Sovrana Bellezza siamo noi.

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