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Aldo Grandi è direttore di quattro quotidiani on line: la gazzettadilucca.it, lagazzettadiviareggio.it , lagazzettadimassaecarrara.it, lagazzettadelserchio.it. Ha pubblicato libri sul fascismo e sull’estremismo di sinistra, oltre alle biografie di Giorgio Almirante, Ruggero Zangrandi, Giangiacomo Feltrinelli e Guido Pallotta.
E’ un giornalista coraggioso e soprattutto è un uomo libero. Non teme gli attacchi, ne’ di diventare impopolare. Nemico giurato del pensiero unico, analizza i fatti senza preconcetti, per lui una notizia è una notizia, senza nessuna concessione all’edulcorazione, all’infingimento per risultare gradito a certa “intellighenzia”.
Il suo ultimo libro “Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli” edito da Chiarelettere è uscito da qualche settimana e sta avendo grande successo.
Ho chiesto un’intervista a Aldo Grandi per approfondire alcuni aspetti della vicenda narrata che, nonostante siano trascorsi cinquanta anni, si intreccia ancora profondamente con l’attualità.

D. Perché a distanza di tanti anni un libro sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli?
R. Per due motivi. Innanzitutto perché ricorre, quest’anno, il cinquantesimo anniversario della morte e secondo perché, a distanza di così tanto tempo forse è il caso di mettere un punto e dire una volta per tutte quello che ancora oggi qualcuno non vuole accettare ossia la morte di Feltrinelli causata da un incidente e non da un omicidio o da chissà quale complotto ordito da servizi segreti o agenti infiltrati.

D. Qual è il filo rosso che ci tiene legati agli anni di piombo?
R. E’ un filo che a mano a mano che passa il tempo diventa sempre più sottile e consumato, ma ciò non vuol dire che se ne sia compreso il contenuto e, soprattutto, se ne siano accettati e compresi tutti gli aspetti. A mio avviso e Feltrinelli ne è un chiaro esempio, per troppi anni la Sinistra non ha voluto accettare che i protagonisti di quel periodo provenivano, sostanzialmente, dalle proprie file con tutto ciò che ne conseguiva. Solo Potere Operaio e pur tra non poche ambiguità, a pochi giorni dalla morte dell’editore, ebbe il coraggio di dire che un rivoluzionario era caduto. Fino a quel momento era impensabile anche solo ipotizzare che potesse esistere una violenza di sinistra rivoluzionaria nel nostro paese.

D. Nel libro tratteggi la storia della famiglia Feltrinelli, quanto è stata importante nella storia d’Italia?
R. I Feltrinelli sono stati partecipi dello sviluppo economico-finanziario del nostro Paese dalla fine dell’Ottocento ai primi anni Trenta del Novecento. Una dinastia che ha saputo imporsi sul panorama del neonascente capitalismo italiano attraverso indubbie doti di operosità e di determinazione oltreché di coraggio e di inventiva. Il padre di Giangiacomo, Carlo, morto nel 1935, era un uomo di straordinarie capacità ed era arrivato a ricoprire ruoli di primaria importanza nelle istituzioni e nelle società dell’epoca. Ripercorrendo la vita della famiglia Feltrinelli si ripercorrono gli albori del capitalismo italiano alle prese con un paese che era una sorta di terra di nessuno in cui era necessario agire e far nascere l’industria, elettrica ad esempio, per portarlo ai livelli di altre nazioni europee. I Feltrinelli arrivarono anche ad avere una propria banca, la Banca Feltrinelli divenuta, poi, Banca Unione e acquistata molti anni dopo da Michele Sindona.

D. Come avviene la trasformazione di Giangiacomo Feltrinelli da editore a estremista di sinistra che sceglie la clandestinità?
R. In realtà più che di una trasformazione si potrebbe parlare di una progressiva presa di coscienza che lo condusse da posizioni indubbiamente eterodosse sotto il profilo editoriale e culturale oltreché imprenditoriale, a una vera e propria scelta di vita che contemplò l’abbandono di tutto ciò che aveva ed era stato per diventare a tutti gli effetti un rivoluzionario di… professione. Feltrinelli si convinse sul finire degli anni Cinquanta che il movimento rivoluzionario contro il sistema di sfruttamento capitalistico avesse le potenzialità per modificare i rapporti di forza. L’avvento sulla scena mondiale dei paesi cosiddetti non allineati, Cuba, il Vietnam, Fidel, Che Guevara, l’Africa, tutto sembrava essersi rimesso in movimento e anche lui pensò di poter prendere parte a questo sommovimento. In fondo, era stato troppo giovane per poter partecipare alla Resistenza ma non si rese conto di essere, ormai e forse, troppo vecchio per poter scendere in piazza e lanciare le bottiglie molotov in compagnia degli studenti.

D. Cosa differenzia Giangiacomo Feltrinelli dagli altri estremisti che scelsero la lotta armata?
R. Diciamo che la differenza sostanziale è che lui, per quella scelta di militanza armata, mise tutto sul piatto compresa la propria esistenza oltre al proprio patrimonio e tutto perse. Gli altri, in fondo, avevano comunque qualcosa di meno. Cosa sarebbe, poi, accaduto qualora Feltrinelli non fosse morto sul traliccio nessuno lo sa.

D. Sei un cultore della materia, nei tuoi prossimi progetti c’è un altro libro su questo tema?
R. Posso dirti solo che l’anno prossimo c’è in programma un altro libro che abbraccerà in maniera più ampia la storia di Potere Operaio. Nel 2003 per Einaudi avevo già pubblicato ‘La generazione degli anni perduti – Storie di Potere Operaio’, questa volta andremo più a fondo. Poi, per il 2024, avremo un altro impegno editoriale, ma si tornerà indietro di molti anni, ai tempi del fascismo e della guerra.

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