Con la nascita del gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra FCA e PSA, la grande tradizione automobilistica italiana, quella che negli anni d’oro aveva fatto innamorare e sognare il mondo intero, sembra ormai aver definitivamente lasciato spazio alla standardizzazione dei modelli e alla globalizzazione, lasciando alla sola Ferrari il ruolo di portabandiera di un Tricolore autentico.
Un patrimonio, quello legato all’automobile, che ormai è sempre più lontano dall’esprime quell’essere italiani che ritrovavamo nelle linee estetiche e nelle note dei motori che hanno accompagnato, in un percorso parallelo, la storia automobilistica dei primi settant’anni del secolo scorso e la crescita del nostro Paese.
Le grandi strategie industriali, che con l’allontanamento della famiglia Agnelli dal mondo delle auto ormai non vengono più decise in Italia, ci stanno portando ad abituarci a vedere modelli simili, freddi e senza un vero legame con la nostra storia e con quel concetto ampio e complesso di bellezza che in tanti settori, dalla moda all’enogastronomia, ci permette di non subire la predominanza dei grandi produttori stranieri, che puntano sui numeri e sulla riduzione dei costi di produzione.
Eppure a guardare il successo riscosso dalle auto italiane alla fiera “Auto e Moto d’Epoca” di Padova che dal 21 al 24 ottobre è riuscita ad attirare 1600 espositori, con la presenza di 5.000 macchine, e a rilanciare verso quota centomila le presenze sembra assurdo che l’Italia e gli Agnelli, anche se ormai a comandare sono gli Elkann, abbiano deciso di non puntare sull’eccellenza, che ha permesso alle aziende tedesche di competere e valorizzarsi, e di abbandonare al solo esercizio della memoria il ricordo dell’avanguardia romantica che per decenni la nostra industria automobilistica ha incarnato nell’immaginario collettivo.
Un connubio di bellezza e stile, quello tra l’Italia e le auto, cresciuto anche grazie al cinema e tra le tante pellicole possiamo ricordare “Il sorpasso”, con la stupenda Lancia Aurelia B24, “Il Laureato” di Dustin Hoffmann, con l’Alfa Romeo Duetto rossa, o il “Viale del Tramonto”, con la Isotta Fraschini Tipo 8A.
Una bellezza portata all’estero anche dai racconti degli emigrati italiani che quando potevano, e gli veniva permesso dal Paese che li ospitava, coronavano i loro sogni da bambini acquistando le auto che guardavano e sognavano in Italia.
Una fiera, quella di Padova, che ha fatto registrare vendite al di sopra di ogni aspettativa ed un incredibile attivismo da parte di acquirenti stranieri intenzionati ad acquistare, anche con assegni da centinaia di migliaia di euro, pezzi iconici di Made in Italy che ormai rappresentano degli investimenti sicuri e redditizi. Di certo il confronto tra quanta bellezza era capace di esprimere il nostro Paese e la situazione attuale copre con un velo di tristezza la manifestazione veneta ma a voler essere positivi bisogna ritrovare quell’orgoglio di essere italiani e di saper fare le cose per bene. Peccato che ormai i veri imprenditori, quelli che seguivano la passione e bellezza, siano merce rara e si preferisce nascondere dietro un nome italiano cuore, anima e struttura altrui.
Articolo di Gianni Meffe
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