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PREMESSA

In tempo di lockdown, mentre il Paese si fermava, mentre nelle terapie intensive si decideva chi salvare e chi no, veniva nominato dal governo un commissario straordinario per l’emergenza, uomo di fiducia dell’ex Premier Giuseppe Conte: Domenico Arcuri.

Da allora, il dottor Arcuri, già amministratore delegato dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (Invitalia) Spa ha assunto un ruolo cruciale nella gestione degli approvvigionamenti e delle operazioni relativi alla pandemia potendo disporre di poteri decisionali e di spesa mai sperimentati in passato e ricoprendo una pluralità di incarichi che alla fine non hanno però portato ai risultati sperati, ma si sono troppo spesso rivelati dei veri e propri flop, a partire dalle mascherine, per passare ai ventilatori, la app Immuni, la scuola e persino i vaccini.

Un operato che ha dimostrato numerose criticità a causa delle scelte discutibili adottate in materia di approvvigionamenti, caratterizzate da costi elevati e da scarsa trasparenza. Il nostro Ufficio Studi aveva già elaborato nel gennaio scorso (gennaio 2021) un dossier che ripercorreva tutte le criticità della gestione commissariale “Arcuri”, che oltre ad aver contribuito a sperperare una montagna di soldi, non aveva neppure generato risultati apprezzabili, macchiandosi della responsabilità di aver maldestramente guidato per un anno il paese nelle decisioni più importanti riguardanti l’emergenza sanitaria e gestendo il tutto anche in maniera abbastanza opaca.

 Il nostro documento, consegnato anche al Premier Draghi, racchiudeva tutti gli errori e le inadempienze compiute dal presidente di Invitalia a cui il governo Conte-bis aveva affidato il compito di lavorare per il contrasto all’emergenza Covid-19, ribattendo particolarmente sull’affidamento poco chiaro di alcuni bandi. Il dossier veniva pubblicato in un periodo nel quale i grandi media osannavano all’unisono l’operato del commissario straordinario, eppure erano già molte le anomalie. Ora, a distanza di mesi, arriva la notizia che l’ex commissario all’emergenza sanitaria Arcuri è indagato dalla Procura di Roma per peculato e abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta relativa alla prima fornitura di mascherine provenienti dalla Cina.

 All’indomani di questa notizia, pubblichiamo un nuovo dossier dove riprendiamo tappa per tappa tutte le “missioni” fallite da Arcuri nel contrasto alla pandemia fino a ricostruire, in base a quello che per ora emerge dalle indagini della Procura di Roma, quel sistema torbido di intermediari, società fantasma e appalti a società che sarebbero nate solo alcuni giorni prima dell’affidamento dei bandi e che sarebbero collegate a vario titolo con personaggi vicini a Pd e Cinque Stelle. Un lavoro che, in attesa di quelli che saranno gli esiti delle indagini in atto, dimostra come il Covid potrebbe aver rappresentato un gigantesco affare per i soliti noti.

Dal 31 gennaio 2020 al 14 settembre 2021 per contrastare l’emergenza Covid sono stati indetti bandi per complessivi 19,1 miliardi di euro e più della metà degli importi messi a gara dall’inizio della pandemia (quasi il 60%) sono stati aperti dal commissario per l’emergenza, che ha indetto bandi per importi complessivi pari a 8,9 miliardi di euro, (FONTE: Openpolis – osservatorio bandi Covid)[1].

In gran parte (5,2 miliardi secondo i numeri resi pubblici da Palazzo Chigi e ripresi nell’inchiesta dell’Espresso [2]) avviati con il sistema della procedura negoziata senza previa comunicazione. Soltanto il 7,4% di questi 19 miliardi (e cioè 1,4 miliardi) è stato speso attraverso procedure aperte.

L’obiettivo è stato quello di velocizzare i tempi in un momento di emergenza, e ottenere le forniture e i servizi rapidamente, ma Openpolis mette in guardia: “È importante equilibrare l’esigenza di rapidità nelle procedure con la trasparenza, considerando che parliamo di miliardi di euro provenienti dalle casse pubbliche”.

Le inchieste sono ancora aperte e per adesso non ci è dato sapere come si concluderanno, ma già incrociando i dati a nostra disposizione emerge un quadro decisamente inquietante sul monitoraggio dei soldi pubblici messi a disposizione per gli acquisti di dispositivi utili al contrasto dell’epidemia, soprattutto perché, come abbiamo appena visto Arcuri, ha indetto Bandi per la stragrande maggioranza attraverso procedure semplificate, che lasciano ben poco spazio alla trasparenza.

Ed è per questo che Fratelli d’Italia, fin dall’inizio, su questo tema ha chiesto la massima attenzione e la massima trasparenza, e adesso, con ancora più determinazione chiede a tutti i partiti di approvare la proposta di legge di Fratelli d’Italia che giace in Parlamento da febbraio per l’istituzione di una commissione d’inchiesta per la gestione commissariale sotto pandemia, così che il Parlamento possa verificare come sono stati spesi i soldi degli italiani.

[1] https://www.openpolis.it/per-lemergenza-covid-sono-stati-indetti-bandi-per-piu-di-19-miliardi-di-euro/

[2] https://pdf.extrapola.com/utilitaliaV/1816766.pdf

Tutte le criticità della “gestione Arcuri”

Marzo 2020: nomina di Arcuri Commissario Straordinario Era il marzo scorso quando il Presidente del Consiglio Conte nominava Domenico Arcuri, l’amministratore delegato di Invitalia, commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure per il contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid 2019.

Ben presto però Arcuri dimostrerà la sua maestria nel complicare qualsiasi incarico, combinando a tratti dei veri e propri disastri.

Tra i primi compiti affidati al Commissario straordinario vi è stato quello di reperire materiale sanitario e dispositivi di protezione individuale, principalmente attraverso approvvigionamenti da canali esteri e, in subordine, attraverso l’avvio di una produzione industriale nazionale di tali prodotti, quasi del tutto assente all’esordio della situazione emergenziale.

Le mascherine:

Il primo compito fu ovviamente quello di dotare gli italiani delle mascherine. Un compito certamente abbastanza complicato visto che la nostra nazione non ne è mai stata produttrice, avendole sempre importate dagli altri Paesi. Ma di certo un incarico non impossibile. Ma ecco che già il primo incarico si traduce in un vero pasticcio (e anche in guai giudiziari come vedremo dopo).

Il Commissario straordinario aveva fissato un prezzo calmierato per l’acquisto di mascherine, senza tenere in considerazione i grossisti e i rivenditori al dettaglio, come le farmacie, i quali nel frattempo ne avevano acquistato grandi quantitativi a prezzi di mercato, sensibilmente superiori a quelli imposti. Come era prevedibile, tale situazione antieconomica ha provocato una significativa scarsità di mascherine, costringendo la struttura commissariale ad approvvigionarsi nei mercati esteri, principalmente la Cina, e a ricorrere ad affidamenti diretti o a procedure negoziate.

In particolare, desta criticità una fornitura di 801 milioni di mascherine FFP3, per la quale lo Stato ha corrisposto 1,25 miliardi di euro, che il Commissario straordinario ha acquisito mediante l’intervento di due piccole società cinesi, Wenzhou light industrial products art & crafts import export co. Ltd e Luokai trade co. Ltd, di cui una apparentemente costituita solo cinque giorni prima della firma dei contratti di acquisto, le quali avrebbero fornito all’Italia dispositivi di protezione individuale di cui non si conoscevano i produttori anziché reperire prodotti già affermati sul mercato.

Eppure già nella fase iniziale della pandemia, la più difficile, quando il Paese era disorganizzato, la Farnesina trasmetteva quotidianamente una lista di fornitori da contattare (dalla A dell’Austria alla T della Tailandia). Obiettivo ed interesse delle strutture diplomatiche italiane era quello di non incappare in società improvvisate o in speculatori e, soprattutto, di non ricorrere a importatori e mediatori che avrebbero fatto lievitare alle stelle il prezzo finale. Come invece grazie ad Arcuri è accaduto.

In particolare a far da tramite ad Arcuri per la fornitura di 801 milioni di mascherine per un importo di 1.250 milioni di euro, scende in campo un’eterogenea compagnia di giro guidata dal giornalista Mario Benotti.

La società Luokai trade co. Ltd è stata aggiudicataria delle gare con identificativo Cig 827463901F e 8274638F47, entrambe assegnate con procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, per la fornitura di oltre 571 milioni di pezzi a un prezzo di poco inferiore a 634 milioni di euro. La società Wenzhou light industrial products, invece, è stata aggiudicataria delle gare con identificativo Cig 8275123ED, 82611325C9, 826853314A, 8257472974 (quest’ultima affidata alla Wenzhou moon-ray import & export co. Ltd), alcune assegnate con procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando e altre mediante affidamento diretto, per un totale di 230 milioni di pezzi acquistati a un prezzo di 617,5 milioni di euro.

In particolare, secondo la ricostruzione dettagliata della vicenda in questione pubblicata dal quotidiano «La Verità» il 19 novembre 2020 due imprenditori avrebbero utilizzato i propri contatti con il Commissario straordinario Domenico Arcuri e con il suo vice Antonio Fabbrocini per promuovere la conclusione di contratti di fornitura con la promessa di farsi riconoscere il pagamento di 72 milioni di euro a titolo di provvigione. L’ingente flusso di denaro ha insospettito i funzionari di un istituto bancario che hanno segnalato presunte anomalie alla Banca d’Italia. Gli stessi funzionari hanno evidenziato che la società Sunsky srl, posseduta al 99 per cento da Andrea Vincenzo Tommasi, ha avuto un fatturato inferiore a 1 milione di euro nel 2017 e 2018. Tommasi, di fronte alla richiesta di chiarimenti, avrebbe dichiarato che « a seguito dell’emergenza Covid avrebbe deciso di sfruttare le sue relazioni in Cina, per mettere in contatto la presidenza del Consiglio con produttori di mascherine », aggiungendo che, « conoscendo il commissario Arcuri e ancora meglio il suo vice preposto Fabbrocini, avrebbe avuto la possibilità di proporre società cinesi che potessero procurare i dispositivi anti-Covid a prezzi ritenuti accessibili e nella tempistica richiesta dalla Protezione civile e dal Governo italiano ».

72 milioni in provvigioni non dovute ad un giro di intermediari con a capo Mario Benotti:

La Procura di Roma apre un’inchiesta ipotizzando i reati di traffico di influenze, perché Benotti, sfruttando la sua personale conoscenza di Arcuri, si sarebbe fatto retribuire dalle controparti cinesi, senza che il commissario lo sapesse, (ma la recente notizia di Arcuri indagato per peculato ed abuso di ufficio portano a pensare che Arcuri fosse in qualche maniera coinvolto).

Tra l’altro le mascherine arrivate in Italia per fronteggiare l’emergenza si rivelano un affare solo per gli intermediari che hanno ricevuto ricche provvigioni, ma inutili al contrasto della pandemia dal momento che risultano poi essere inadeguate e pericolose per gli operatori sanitari che le hanno indossate durante il picco dell’emergenza Covid.

17 febbraio 2021: Sequestrati da finanza i 72 milioni di euro, si indaga sui rapporti tra Benotti e Arcuri

 Il 17 febbraio arriva il sequestro dei 72 milioni di euro pagati dalle due società cinesi agli intermediari per l’acquisto di oltre 800 milioni di mascherine. E se ne sta occupando in questo momento il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza. L’operazione è legata all’inchiesta sull’affidamento da 1,25 miliardi fatto dal Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri a tre consorzi cinesi. Tutto era avvenuto durante la prima ondata della pandemia da Covid-19. Arcuri ha sempre dichiarato di essere estraneo alla vicenda e di non conoscere neppure Benotti, eppure più volte Benotti, intervistato, ha sostenuto che Arcuri stava mentendo.

E dopo il sequestro dei 72 milioni di euro sembra che la Procura stia indagando sui rapporti tra Benotti e Arcuri. Oggi apprendiamo che i legali di Benotti avevano chiesto al Gip di «acquisire le dichiarazioni del commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, e del responsabile unico dei procedimenti, Antonio Fabbrocini». L’obiettivo è quello di dimostrare «che in epoca di emergenza pandemica fu proprio il Commissario per l’emergenza Covid 19 a chiedere a Benotti di interessarsi, nella qualità di presidente del Consorzio Optel, di ricercare sul mercato una fornitura di mascherine che fosse in grado di fronteggiare il bisogno impellente di tali presidi sanitari in un momento drammatico per il Paese».

In attesa di quelli che saranno i risultati delle indagini, possiamo decisamente affermare che già questa vicenda illumina un sistema, “il sistema Arcuri”, che ha finito per moltiplicare i costi a carico dello Stato. Lo dicono i numeri: le mascherine chirurgiche importate con la mediazione di Benotti e soci sono costate molto di più, fino al 90% dei prodotti analoghi forniti nello stesso periodo (marzo-aprile) dal gruppo cinese Byd industry individuato dalla Protezione Civile di Angelo Borrelli, grazie all’aiuto del ministero degli Esteri e l’ambasciata di Pechino.

Il confronto che smaschera l’incapacità di Arcuri

 Il 25 settembre l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro aggiudica una procedura negoziata da 756 mila euro per l’acquisto di 2 milioni di Ffp2, prezzo: 37 centesimi l’una. La gara d’appalto è divisa in tre lotti. Uno degli aggiudicatari è la Polonord Adeste, importatore italiano di mascherine cinesi. La qualità è la stessa, la certificazione è equivalente (come mostrano i documenti esaminati da Dataroom), la differenza però non è banale: su 100 milioni di pezzi il commissario ha pagato 65 milioni in più. Anche la centrale acquisti della Regione Veneto, che per non rischiare di trovarsi scoperta ha acquistato un piccolo lotto, ha speso meno: 90 centesimi; mentre quella del Gruppo San Donato, il principale operatore della Sanità privata accreditata, ai primi di settembre se le aggiudica a 0,91 centesimi da un’azienda produttrice italiana. In sostanza si compra dalla Cina, si paga in Olanda, e si paga caro.

Sta di fatto che la presenza di più soggetti che acquistano gli stessi materiali crea un cortocircuito di concorrenza che rende ancora più difficile portare a casa la merce. «La gestione degli acquisti sanitari durante l’emergenza Covid evidenzia i problemi profondi della macchina amministrativa del Paese – spiegano Francesco Longo, Niccolò Cusumano e Veronica Vecchi dell’Osservatorio MaSan Cergas-Bocconi –. Quando si affidano compiti speciali a strutture commissariali raramente si tiene conto delle competenze specialistiche necessarie, soprattutto in Sanità. Le strutture ordinarie dovrebbero, ben coordinate, potersi occupare anche di emergenze: il Servizio sanitario, le Regioni, le loro centrali di acquisto, le aziende sanitarie avrebbero dovuto occuparsi anche di Covid. E, in ogni caso, lo hanno fatto, ma ognuno per conto proprio e cercando di mettere “pezze” alle falle del sistema commissariale».

++++ È notizia del 18 ottobre 2021 Arcuri indagato per peculato e abuso d’ufficio. Sequestrate oltre 800 milioni di mascherine

L’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, è indagato dalla Procura di Roma nell’ambito della fornitura di mascherine provenienti dalla Cina e finite al centro dell’inchiesta in cui sono indagati tra gli altri il giornalista Rai in aspettativa, Mario Benotti (accusato di accusa di frode nelle pubbliche forniture), Andrea Vincenzo Tommasi ed Edisson Jorge San Andres Solis. Per Arcuri le accuse sono peculato e abuso d’ufficio. 

E sono oltre 800 milioni le mascherine provenienti dalla Cina risultate «non regolari» e sequestrate dalla Guardia di Finanza su ordine della procura. L’attività di sequestro è stata svolta, tra l’altro, nella struttura commissariale nazionale e alcune di quelle regionali. 

Ora la Finanza è a caccia di 800 milioni di pezzi pericolosi È il più grande sequestro di mascherine messo a segno in Italia. Per questo motivo i finanzieri del Nucleo valutario hanno bussato alla porta della Protezione civile nazionale, di una serie di strutture locali e continuano a dare la caccia ai corrieri che ancora oggi custodiscono parte della fornitura da oltre 800 milioni di mascherine costata alle casse dello Stato più di 1,2 miliardi di euro.

Praticamente quasi la metà dei dispositivi di protezione individuale arrivati nel periodo caldo dell’emergenza Covid non erano conformi alla legge, o peggio ancora, erano dannosi per la salute. (Repubblica Roma)[1]

APPROFONDIMENTO DELLA “INCHIESTA SULLE MASCHERINE”:

Secondo la ricostruzione dettagliata della vicenda in questione pubblicata dal quotidiano «La Verità» il 19 novembre 2020 alcuni imprenditori (Benotti in primis), avrebbero utilizzato i propri contatti con il Commissario straordinario Domenico Arcuri e con il suo vice Antonio Fabbrocini per promuovere la conclusione di contratti di fornitura con la promessa di farsi riconoscere il pagamento di 72 milioni di euro a titolo di provvigione. L’ingente flusso di denaro ha insospettito i funzionari di un istituto bancario che hanno segnalato presunte anomalie alla Banca d’Italia. Gli stessi funzionari hanno evidenziato che la società Sunsky srl, posseduta al 99 per cento da Andrea Vincenzo Tommasi, ha avuto un fatturato inferiore a 1 milione di euro nel 2017 e 2018. Tommasi, di fronte alla richiesta di chiarimenti, avrebbe dichiarato che « a seguito dell’emergenza Covid avrebbe deciso di sfruttare le sue relazioni in Cina, per mettere in contatto la presidenza del Consiglio con produttori di mascherine », aggiungendo che, « conoscendo il commissario Arcuri e ancora meglio il suo vice preposto Fabbrocini, avrebbe avuto la possibilità di proporre società cinesi che potessero procurare i dispositivi anti-Covid a prezzi ritenuti accessibili e nella tempistica richiesta dalla Protezione civile e dal Governo italiano ». L’imprenditore avrebbe fornito copia dei contratti da cui risulterebbero provvigioni dalle aziende cinesi direttamente alla Sunsky del valore di poco meno di 60 milioni di euro, di cui 19 «canalizzati verso un altro intermediario». Le commesse sarebbero state «sottoscritte da (…) Arcuri e da tre società cinesi» e «in tali documenti è indicato quale responsabile unico di procedimento Fabbrocini». I funzionari dell’istituto bancario avrebbero segnalato alla Banca d’Italia una ulteriore anomalia: «Il totale delle mascherine da consegnare non pare coincidere con il quanto indicato nelle lettere di commessa». « Appare sospetto », scrivono gli stessi, « che una società che ha sempre operato come procacciatrice d’affari di aziende esportatrici operanti soprattutto nel settore della difesa, incassando provvigioni dall’esportatore italiano e dall’importatore estero, con un fatturato che solo nel 2019 ha superato 1.000.000 di euro, improvvisamente riceva bonifici per circa 24.000.000 di euro e annunci provvigioni per quasi 60.000.000 solo per il contatto tra il Commissario per l’emergenza Covid e diversi produttori cinesi di mascherine ». Nell’affare risulta coinvolta anche un’altra società, che è stata segnalata all’antiriciclaggio, al pari della Sunsky. Nel medesimo articolo si legge: «Sospette appaiono anche le provvigioni (…) a Microproducts it Srl (…) per quasi 12.000.000 a fronte di ricavi nel 2019 di circa 72.000 euro: non è stata fornita infatti alcuna informazione sul ruolo di tale società. Da notare che tra gli amministratori di Microproducts sono presenti Mario Benotti e Daniela Rossana Guarnieri, entrambi collegati all’inchiesta Vatileaks». Il restante 80 per cento della società è controllato dalla Partecipazioni Spa, di proprietà di Guido Pugliesi, ex amministratore delegato dell’ENAV Spa e membro del consiglio di amministrazione dell’allora Cinecittà holding e della Cordusio, una società fiduciaria per azioni. La Partecipazioni Spa ha come vicepresidente Mario Benotti e come amministratore delegato la signora Guarnieri, compagna dello stesso Benotti. Secondo le notizie di stampa dal conto della Sunsky sarebbero stati effettuati diversi bonifici a favore del conto personale di Tommasi « in genere a titolo di compenso ». Il 25 giugno 2020 sono stati pagati dalla Sunsky a Tommasi 297.000 euro come « versamento dividendi socio ». La somma sarebbe stata utilizzata in parte per un assegno circolare di 147.300 euro a favore di un’agenzia immobiliare. Anomali risulterebbero anche due bonifici della Sunsky verso la Francia: il primo di 20.000 euro a favore di una società di consulenza costituita il 15 giugno 2020 e il secondo di 363.571 euro a favore di una non identificata Marcan, con causale « saldo fattura 22 del 27 aprile 2020 imbarcazione ». Tommasi avrebbe dichiarato che si trattava « dell’acquisto di uno yacht ». L’imprenditore avrebbe, inoltre, dichiarato: « Un amico mi ha chiesto di aiutare il Governo a trovare le mascherine e io mi sono adoperato grazie ai miei contatti ». In tutto sarebbero arrivati circa 800 milioni di mascherine e, per ognuna, Tommasi avrebbe percepito quasi 8 centesimi di provvigione. Sulla vicenda indaga la procura di Roma e sono otto gli indagati. Oltre al giornalista in aspettativa Mario Benotti, ci sono Antonella Appulo, Rossana Daniela Guarnieri, Andrea Vincenzo Tommasi, Daniele Guidi, e poi Georges Fares Khouzam, Edisson Jorge San Andres Solis e Andreina Dayanna Cedeno Solis. Le accuse ipotizzate dalla procura riguardano i reati di ricettazione, riciclaggio, traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale e alcuni illeciti amministrativi in materia di responsabilità amministrativa degli enti. La Guardia di finanza ha eseguito un decreto di sequestro preventivo per 70 milioni di euro. La consegna delle mascherine aveva fruttato 59 milioni di euro alla Sunsky e 12 milioni di euro alla Microproducts Srl di Benotti. La Sunsky ha poi pagato 3,8 milioni di euro alla società di Solis. Per i magistrati, le forniture sarebbero state «intermediate illecitamente da Benotti, che ha concretamente sfruttato la personale conoscenza» del Commissario straordinario, «facendosene retribuire, in modo occulto e non giustificato da esercizio di attività di mediazione professionale/istituzionale». In un articolo comparso il 9 gennaio 2021 su «Il Fatto Quotidiano» si rende noto il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche e ambientali sulla maxicommessa di mascherine importate dalla Cina da parte del Commissario straordinario. Dalle conversazioni emergerebbe anche il tentativo di Tommasi, il 20 novembre 2020, di «mettere a posto i contratti ». La Sunsky aveva infatti pagato 53.000 euro a una persona che risulta attualmente indagata, oltre ad altri pagamenti per somme più consistenti, che risulterebbero effettuati da Benotti sempre nei confronti di persona indagata. Nella vicenda resta centrale il ruolo di Benotti, peraltro già titolare di incarichi fiduciari assegnati da Ministri e da Sottosegretari di Governi di centro-sinistra. Benotti, il 20 ottobre 2020, parla con Mauro Bonaretti, componente della struttura commissariale, e si dichiara «deluso» dal comportamento del suo «vecchio amico Domenico». «Dì al commissario che vorrei venerarlo sempre che abbia il piacere ancora di ricevere un vecchio amico», si legge nell’articolo. «Io quello che ho fatto per dargli una mano – dice Benotti – e le persone che ho mosso di fatto sono state le uniche che gli hanno portato a casa in anticipo di 6 mesi le cose di cui aveva bisogno». Poi aggiunge: «Mi spiace perché avevo organizzato due o tre cose per lui importanti ma magari riesce ad andare lui alla Finmeccanica». Agli atti sono stati acquisite anche le fatture degli acquisti effettuati dagli indagati dopo aver incassato le provvigioni: beni di lusso, «beni rifugio» per i finanzieri; «normali sfizi di chi ha portato a termine l’affare della vita», replicano i legali. Tommasi, ad esempio, ha versato 900.000 euro per saldare la barca che aveva acquistato in leasing e ha versato l’acconto per l’acquisto di una automobile Lamborghini Urus. Benotti ha saldato alcune cartelle pregresse con il fisco per circa 500.000 euro. Solis ha acquistato un orologio Rolex. Guidi ha speso migliaia di euro in beni di lusso. Secondo la ricostruzione fornita dal quotidiano, dopo l’affare da 1 miliardo e 251 milioni di euro, il trader ecuadoriano Jorge Solis a ottobre aveva fiutato il business dei tamponi rapidi antigenici. Il 26 ottobre 2020, Solis al telefono prospetta la possibilità di un altro affare con il Governo: «Io ho avuto fortuna con lo Stato italiano a breve dovranno arrivare 60 milioni di test rapidi in tutta Italia». «Io c’ho il numero di Arcuri. La gara la vinciamo noi, qualità prezzo mi hai capito. Possiamo fare 60 milioni in quattro giorni», avrebbe detto Solis, che voleva tenere fuori i «soci» con cui aveva concluso la prima maxi-consegna di marzo. Secondo quanto è emerso dalle indagini, da gennaio 2020 al 6 maggio 2020 risultano 1.280 contatti telefonici tra Mario Benotti e il Commissario straordinario. I contatti sono stati «giornalieri (tra telefonate e sms) nei mesi di febbraio, marzo e aprile» a «conferma di un’azione di mediazione iniziata ben prima del 10 marzo 2020». «Significativa è la conversazione del 20 ottobre 2020 alle ore 8,15 che, sul tema, Benotti tiene con Daniela Guarnieri, cui confida la sua frustrazione per essersi Arcuri sottratto all’interlocuzione, e il timore che ciò potesse ritenersi sintomatico di una notizia riservata su qualcosa che “ci sta per arrivare addosso”».

I ventilatori:

Nel frattempo un’altra questione stava mettendo in serio imbarazzo Arcuri, ed è quella dei sequestri e dissequestri dei respiratori, messa in luce da una giornalista di Report che pone domande imbarazzanti al Commissario proprio durante una conferenza stampa.

Nel mese di marzo, in ben due occasioni, a Bologna e a Genova, la Dogana sequestra materiale fondamentale per gli ospedali italiani, tra cui appunto i ricambi per i respiratori, fermando di fatto la Medtronic (un’azienda di Mirandola leader nel mondo per tecnologia medica) dalla vendita all’estero di pezzi ricambio preziosissimi in piena emergenza: in tempi di pandemia, è un reato esportare materiali per terapia intensiva di primaria necessità per i nosocomi italiani che ne sono privi. La Procura bolognese ha aperto un’inchiesta sulla questione.

Il commissario Arcuri, però, il 1 aprile scrive a Marcello Minenna, direttore dell’Agenzia delle Dogane, e lo prega di “non procedere ad alcuna requisizione pro futuro di merce importata ed esportata in nome e per conto della società Medtronic Italia SpA (…), nonché di provvedere a sbloccare, al più presto, eventuali operazioni attualmente in corso e non ancora comunicatemi”, mettendo in copia conoscenza anche il segretario generale della Presidenza del Consiglio e i capi di gabinetto dei ministri degli Affari Esteri e delle Infrastrutture e Trasporti.

Durante la conferenza stampa del 2 maggio, Arcuri e Presutti si incontrano ed è qui che la Presutti chiede conto dei fatti al commissario straordinario nominato per l’emergenza Covid dal Presidente del Consiglio, tanto che dopo un breve confronto e risposte che non soddisfano la Presutti, Arcuri, incalzato, si mette a parlare di calcio e di fedi calcistiche. La questione, dunque, resta da chiarire: non rimane che attendere l’indagine della Procura bolognese per capire cosa è accaduto in quel di marzo.

APP Immuni:

Doveva essere un pilastro della lotta al virus, ma è stato un vero flop. L’ormai tristemente famosa App Immuni (il sistema di tracciamento digitale) doveva essere utile per contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica Covid-19, perché in grado di “aiutare a identificare individui potenzialmente e impedire la trasmissione, ma la App non porta ai risultati sperati, anzi, si rivela praticamente inutile. È noto che la procedura di assegnazione del bando si conclude con l’ordinanza del 16 aprile 2020 del Commissario Arcuri che affida alla Bending Spoons l’implementazione del servizio a titolo gratuito.

Di fronte alle numerose proteste per l’inutilità della stessa si è molto insistito sul fatto che l’App non abbia avuto nessun costo per l’apparato Arcuri, ma è davvero così?

Innanzitutto Immuni appartiene come abbiamo detto alla Bending Spoon, che ne ha ceduto la licenza d’uso in concessione gratuita al Ministero della Salute. La società, nonostante il nome che si traduce in “piega cucchiai” è milanese, ma tra i suoi soci, oltre a grandi personaggi del capitalismo italiano, figura anche la Nuo Capital, holding d’investimenti che appartiene alla famiglia Pao/Chemg di Hong kong. “Esistono situazioni in cui servono protocolli di sicurezza molto specifici” dichiarò l’allora presidente del Copasir Volpi “Noi guadiamo se all’interno delle strutture societarie ci siano influenze straniere, e guarda caso si finisce sempre per guardare ad oriente”.  Quindi come ha scritto su La Stampa Gianluca Nicoletti, lo Stato “ci chiede di condividere nostri dati sanitari, senza darci certezza, se non una rassicurazione sulla fiducia, che tutto quello che è stato raccolto su di noi non possa finire in futuro nei database di chi ci considera solo per venderci qualcosa”.

Per tornare poi alla gratuità o meno dell’operazione Immuni, a differenza di quello che sembra anche qui soldi pubblici sono stati spesi.

Se infatti è vero che la società ha implementato il servizio in maniera gratuita, è stato comunque affidato un appalto, e questa volta non gratuito (anzi!) per la gestione della pagina facebook dedicata all’App Immuni a Zenith Italy, società del gruppo Publicis. Come da inchiesta de l’Espresso il budget è stato di ben 40.720 euro (per una semplice pagina Facebook di un’applicazione comunque scaricata da oltre dieci milioni di italiani e che alla fine nonostante l’agenzia strapagata è riuscita a collezionare solo 19mila like. Ed il costo a like è stato impostato a 2 euro, una cifra assurda – commenta Davide Dal Maso, social media coach, dal momento che la media di mercato è 30 centesimi. Il tutto per raccogliere una valanga di commenti negativi. Ulteriore spesa per è quella dei 677 mila euro per affidare la gestione del call center di supporto dell’app alla coop rossa “Acapo[2], che non riesce assolutamente a migliorare la situazione.

Scuola e banchi a rotelle:

Nonostante queste pessime performance il Premier Conte continua ad avere “cieca” fiducia in lui, ed è così che invece di essere allontanato per gli errori commessi riceve appoggi e promozioni.

Nella bozza del decreto legge Semplificazioni torna ancora una volta il nome di Domenico Arcuri, a cui Giuseppe Conte trova uno specifico ruolo addirittura in ambito scolastico: dovrà occuparsi di rifornire le scuole dei d.p.i. necessari per garantire il regolare avvio dell’A.s. 2020-2021.

Per prima cosa commissaria la Azzolina a pochi giorni dal varo del decreto scuola comunicato con tanto di conferenza stampa. Mentre il ministro si affanna a creare software per misurare i metri quadri delle scuole Conte attribuisce ad Arcuri le competenze del ministero dell’istruzione.

I primi di settembre il Commissario assicura che non ci sarebbero stati problemi nel reperire tutti gli arredi scolastici necessari per tornare in classe in sicurezza. I “nuovi” banchi per alunni e studenti sono l’oggetto della questione di questi ultimi mesi: ne servono circa due milioni per avviare in sicurezza le lezioni.

Peccato però che, tolte le tante rassicurazioni, a una manciata di giorni dal rientro a scuola, la situazione rimanga assai critica. Arcuri, poco prima di settembre è già in colpevole ritardo, e indice un bando da 45 milioni per reperire tutti i banchi monoposto necessari. Un’impresa pressoché impossibile. Basti infatti pensare che solitamente, in un anno, vengono prodotti in Italia duecentomila banchi. Il governo e Arcuri, invece, ne vogliono due milioni in poche settimane.

All’avviso d’appalto hanno risposto molte realtà e hanno vinto in undici. Una di queste imprese, la Nexus made Srl però, è risultata essere un’azienda specializzata nell’organizzazione di eventi, con capitale sociale di appena 4mila euro (di cui solamente cento versati). Ciò nonostante la Nexus ha assicurato di poter fornire 180mila arredi, al prezzo di 247,80 euro l’uno. Una stranezza che non poteva passare inosservata e, infatti, alcuni parlamentari hanno chiesto lumi al governo e al commissario. Invitalia si è dunque trovata costretta a fare retromarcia, assicurando di non aver mai perfezionato il contratto con la Nexus. Ci domandiamo, però, come sia stato possibile un cortocircuito di questo tipo. Com’è possibile che una società operante nel campo degli eventi, abbia potuto partecipare – e vincere! – a un bando per la fornitura di arredi scolastici.

Alla fine, secondo quanto riferisce la struttura del commissario straordinario, i banchi di ultima generazione sarebbero stati 434mila, più 2,1 milioni di quelli tradizionali. Il costo totale dell’operazione, in base a questi numeri, è stato di 119 milioni per i banchi a rotelle e di 199 milioni per quelli tradizionali. Per un totale di 318 milioni di euro.

Inutile ripercorrere le tappe sulla sostanziale inutilità dimostrata “sul campo” dai questi costosi e giunti in ritardo banchi a rotelle, oggi però quell’acquisto, seppur non viene valutato con violazioni particolari, verrà valutato dalla Corte dei Conti: «L’affidamento delle forniture di banchi e sedute tradizionali – scrive l’Anac nell’atto inviato alla Magistratura contabile – sembrerebbe essere avvenuta a un prezzo in media superiore a quello stimato».

Secondo l’Anac (Associazione Nazionale Anti-Corruzione) i tanto contestati “banchi a rotelle” sono costati 93,4 euro a testa invece dei 75 preventivati inizialmente.  «Per i banchi monoposto – si legge nel documento – era stata infatti stimata una spesa media di 75 euro, mentre il prezzo medio di aggiudicazione ammonta a 93,4 euro”, mentre “per le sedute tradizionali era stata stimata una spesa media di 45 euro mentre il prezzo di aggiudicazione ammonta a 58,7 euro».

I banchi a rotelle avrebbero dovuto risolvere la distanza di sicurezza anti-Covid da interporre tra i ragazzi a lezioni ma nella maggior parte dei casi sono stati usati per poco tempo e rinchiusi nelle cantine degli istituti scolastici di mezza Italia.

Vaccini:

E arriviamo quindi all’ultimo incarico affidato al commissario straordinario, perché, dopo le mascherine, Immuni, la riapertura delle scuole, i banchi, la storia dei respiratori, l’ex premier Conte punta ancora sul commissario e gli affida la sfida più importante: il piano per i vaccini.

Più che gli stand a forma di Primula, (la prima preoccupazione di Arcuri riguardo questo nuovo delicato incarico) forse la vera priorità in vista del vaccino sarebbero state le siringhe, ma il sistema scelto, quello del “luer lock”, riduce in modo impercettibile il rischio di perdere anche una minima parte del farmaco contenuto al loro interno, ed al contempo non garantisce il medesimo standard di sicurezza per gli operatori sanitari che fornirebbero invece le tradizionali e più economiche siringhe dotate di cappuccio.

Il primo ad avanzare delle perplessità a riguardo è stato il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, che ha parlato della precisione delle luer lock, puntualizzando che questa non differisce comunque in modo rilevante da quella assicurata da siringhe tradizionali e meno costose. “Si equivalgono”, ha spiegato Sileri a Quarta Repubblica, come riferisce “La Verità”. “Sarei molto più attento invece alla copertura dell’ago. Un conto è vaccinare qualche decina di persone, un altro qualche milione di italiani. E io devo tutelare i miei colleghi, che non raramente si pungono mentre si rincappuccia la siringa. Avere l’ago che si può coprire, per poi gettare tutto, è l’aspetto più importante. Questo protegge l’operatore”. Un aspetto la cui importanza è evidentemente stata sottovalutata dallo stesso Arcuri, che avrebbe puntato tutto sulla necessità di evitare sprechi.

Ancora più paradossale, poi, il fatto che né Pfizer, né il comitato tecnico scientifico e neppure l’Istituto superiore di Sanità abbiano consigliato il sistema luer lock. Siringhe peraltro che, come riferito da numerosi produttori nostri connazionali, sono pressoché introvabili sul mercato, oltre che assai costose (un euro ciascuna). Ciò nonostante, Arcuri ha acquistato a mani basse grandi scorte di questa tipologia di dispositivi. Germania e Francia, solo per citare alcuni Paesi che si sono mossi in modo diverso, hanno optato invece per la tipologia “tubercolina” (solo 8 centesimi l’una!!).

Situazione al 6 gennaio 2021: dosi di vaccino sprecate per colpa delle siringhe sbagliate

Al 6 gennaio 2021, a livello nazionale, in Italia si è raggiunta quota 259.037 vaccini effettuati, al netto di 479.700 dosi distribuite tra le differenti regioni italiane. Non mancano però gli intoppi, legati alla fornitura, inviata da Roma, di siringhe e aghi per la somministrazione del vaccino che però risultano non idonei. Già, perché la struttura commissariale con a capo il commissario speciale per l’emergenza Domenico Arcuri ha inviato ad alcune regioni delle forniture sbagliate. Un kit, composto da una siringa da 5 millilitri e una da 3 millilitri, priva della siringa da 1 millilitro per somministrarlo.

Lombardia, Piemonte, Liguria e Calabria Dopo il caso delle siringhe sbagliate a Pavia, dove con la prima fornitura del 30 dicembre son stati recapitati un migliaio di kit contenenti siringhe da 5 millilitri (non idonea) e da 3 millilitri (necessaria per la diluizione), ma privi della di quella da 1 millilitro (necessaria per inoculare il vaccino), anche altri ospedali lombardi han reso noto di aver dovuto attingere alle proprie scorte per procedere con le vaccinazioni. Sarebbero circa 46 mila le siringhe sbagliate inviate nella regione guidata da Attilio Fontana. Anche Piemonte, Liguria, Lombardia e Calabria imputano ad Arcuri l’errata fornitura delle siringhe.

Toscana: In Toscana a causa delle forniture sbagliate sono state sprecate 5mila dosi di vaccino. Le siringhe arrivate erano troppo grosse, con gli operatori sanitari che sono riusciti a ‘recuperare’ alcune dosi in più solo grazie alla loro bravura e alle scorte di siringhe di precisione fortunatamente a disposizione di alcuni ospedali toscani. “Qui medici e infermieri hanno prelevato una media di circa 5,5 dosi da ogni fiala – spiega al Tirreno il dottor Michele Cecchi, direttore della Farmaceutica di Careggi – riducendo gli sprechi al minimo, ma attenzione, la priorità è somministrare la giusta dose a chi si sottopone al vaccino anti-Covid: 0,3 millilitri di medicinale, non di più. E su questo non devono esserci dubbi. Poi, è chiaro: è eticamente corretto non sprecare il vaccino e a Careggi ci stiamo riuscendo nella quasi totalità dei casi”.

Bando di gara per realizzare i padiglioni-primula

E parliamo adesso del bando di gara del Commissario Arcuri, attraverso INVITALIA, per realizzare i padiglioni-primula progettati dall’architetto Stefano Boeri.

Ma davvero sarebbe stato necessario allestire una serie di padiglioni come “spinta” alla vaccinazione di massa? Non si sarebbe forse potuto trovare un altro modo (meno costoso) per rispondere all’esigenza, di certo nobile e sentita, di promuovere la profilassi da Covid-19?

Ma nonostante la velleità del progetto, nonostante le aspre ma sensate critiche da parte dell”associazione Feu (Filiera Eventi Unita) che hanno contestato la scelta di affidare il progetto a un’archistar come Stefano Boeri quando ci sono i magazzini strapieni di gazebo dallo scorso marzo, e nonostante gli enormi interrogativi che si ponevano in termini di obiettivi e soprattutto di spesa, Arcuri procede comunque, e a leggere il bando che avrebbe dovuto regolare le operazioni le perplessità raddoppiano. 

Innanzitutto i tempi. Il bando, pubblicato il 20 gennaio riguardava l’AFFIDAMENTO DELLA PROGETTAZIONE DI DETTAGLIO, INGEGNERIZZAZIONE, FORNITURA IN OPERA, MANUTENZIONE, SMONTAGGIO E MESSA A DIMORA DI PADIGLIONI TEMPORANEI DESTINATI ALLA SOMMINISTRAZIONE DEI VACCINI ANTI COVID-19 per un minimo di 21 padiglioni (uno per Regione) eppure prevedeva soltanto una settimana di tempo per presentare le offerte tecnico-economiche. In sette giorni quindi i candidati avrebbero dovuto presentare un’offerta economica molto complicata, comprensiva di tutte le migliorie tecniche, e poi avrebbero avuto soltanto trenta giorni per la progettazione esecutiva e la realizzazione.  Ad essere maliziosi verrebbe da pensare che, o chi ha redatto il bando fosse totalmente ingenuo ed estraneo al settore oppure qualcuno aveva già pronto tutto da inizio dicembre.

Il testo prevedeva anche i tempi di risposta dell’intervento di riparazione in caso di necessità: trenta minuti dalla chiamata. Ma non è finita. I contorni dell’operazione restano generici anche nel documento ufficiale, visto che il Commissario si riservava la facoltà di richiedere la produzione di padiglioni fino a un numero di 1200.

Costi: Quanto sarebbero costati i padiglioni? La somma al metro quadrato è di 1.300 euro più IVA. Considerando che ciascuna struttura è di 315 mq, il costo è di 8-9 milioni di euro. Che lieviterebbero a una somma spropositata se, per caro, si desse corso all’idea, comunque messa nero su bianco, di fabbricarne 1200.

C’è poi da dire che per il punteggio finale da assegnare ai candidati conta molto di più (il 70 per cento) la qualità tecnica della proposta e meno (il 30 per cento) gli aspetti economici. L’architetto Carlo Quintelli ha affidato un’analisi dettagliata dei costi a un suo post su Facebook spiegando che “ognuno di questi padiglioni potrà avere un costo massimo di euro 400.000 (+/- 20%) e a questa modica cifra si è in grado di effettuare 6 vaccinazioni alla volta per la durata, compresa anamnesi, di 10/15 minuti a seconda dei soggetti. Ma diciamo pure che 12 minuti per 6 postazioni equivalgono a 30 vaccinazioni l’ora per 10 ore, e quindi 300 vaccinazioni per 90 giorni”. Questo vuol dire che in tre mesi, “senza mancare un turno e con efficienza tayloristica, si vaccinano 27 mila persone, un piccolo centro da 30 mila abitanti, spendendo ‘solo’ 10 volte tanto rispetto a un punto vaccini di analoga portata nella sala civica, in quella parrocchiale, nella palestra, sotto la tenda degli alpini e via dicendo”.

– Quanto alla qualità del padiglione: il bando lasciava alla libera interpretazione dei costruttori salvo “l’assoluta immodificabilità dell’estetica del progetto”, che per una struttura con finalità tecnico sanitarie stride un po’ questo primato dell’estetica.

Come chiosa Quintelli nel suo post su Facebook, (divenuto poi virale) del resto “come diceva il report dell’OMS (fatto sparire in 24 ore), l’organizzazione antipandemica italiana si contraddistingue per “creatività”.

Se invece ci vogliamo soffermare meno sull’estetica e di più sulla efficienza l’idea di Boeri disloca (sempre nella ricognizione di Quintelli) 16 persone in un’area di attesa di circa 40mq che funge anche da ingresso/uscita (non separate), punto reception, disimpegno ai corridoi. Uno spazio alto solo 2.70 (di tipo domestico) con volumi d’aria limitati e che andrà fortemente depressurizzato (con quali effetti?)”. Lasciano perplessi anche le misure dei vari locali: 2,60 metri di profondità per gli spazi anamnesi e vaccinazione, corridoi da 1,40, sala attrezzata “per reazioni avverse” da circa 9 mq e, con una media di 50 persone sempre presenti nella primula, due soli bagni per i pazienti e uno per gli operatori.

Se alla fine non sono stati sperperati altri soldi pubblici è solo per la spending review di Figliuolo, che con un decreto “secca” le primule di Arcuri, annullando il bando e facendoci risparmiare 189 milioni di euro[3].

La quantità di Primule da collocare nelle piazze italiane non era ben definita nel bando, (da 21 per iniziare fino a 1200 se ce ne fosse stata la necessità). In una conferenza stampa il Generale Figliuolo afferma: “L’annullamento della procedura di gara e quindi dell’intera progettualità relativa alla fornitura dei padiglioni temporanei destinati alla somministrazione dei vaccini”, ha detto Figliuolo, comporta “un risparmio presunto di 189 milioni di euro”.

Ma non solo i padiglioni floreali, la spending review di Figliuolo sul piano vaccinale taglia costi per 345 milioni di euro, tra rinegoziazione di diversi contratti, aghi, siringhe e stoccaggio merci. 

15 maggio 2021: Il vaccino made in Italy: altro pasticcio di Arcuri

Il sogno del vaccino italiano si ferma. Almeno per adesso, perché non ci sono stati problemi nella sperimentazione scientifica che, anzi, sta procedendo bene. Lo stop al progetto arriva dalla Corte dei Conti che blocca il decreto di approvazione sottoscritto il 17 febbraio scorso dal ministero dello Sviluppo economico, da Invitalia spa e dalla società ReiThera. Un documento fondamentale per sbloccare i finanziamenti e far decollare il vaccino made in Italy.

Le motivazioni del cartellino rosso non sono ancora state comunicate al Ministero allo sviluppo economico ma quel decreto era la chiave per approvare il programma di sviluppo industriale nello stabilimento di Castel Romano e per sostenere il progetto di ricerca scientifica, compresa la sperimentazione clinica in corso all’ospedale Spallanzani di Roma. E soprattutto era la via per accedere agli 81 milioni di euro che il Governo aveva deciso di investire nel progetto attraverso Invitalia. Su questa cifra le agevolazioni concesse, in conformità alle norme sugli aiuti di Stato, ammontano a circa 49 milioni di euro: 41,2 milioni a fondo perduto e 7,8 milioni di finanziamento agevolato. I restanti 32 milioni saranno invece fondi stanziati da ReiThera.

Ma la Corte dei Conti non ha ritenuto di poter dichiarare legittimo il provvedimento e ha fermato i finanziamenti. A un passo dal traguardo, l’Italia si trova a pagare il prezzo di un vizio di forma che risale a mesi fa, quando era in carica il commissario straordinario Domenico Arcuri e che ora si spera possa essere corretto velocemente.

MINI INCHIESTA SUGLI APPALTI ANTI-COVID

Ogni stagione politica ha la sua inchiesta, Matteo Renzi sta ancora facendo i conti con Consip e Open, mentre gli anni del Conte1 e del Conte2 andranno probabilmente riletti alla luce di un nuovo clamoroso fascicolo a cui sta lavorando la Procura di Roma: gli appalti sulle forniture anti Covid.

Tramite un preciso lavoro di recupero di informazioni trapelate da Procura e grazie ad un’attenta raccolta di informazioni uscite sulla stampa, oltre che una ricerca attenta sui nomi dei vari personaggi che hanno avuto un ruolo in questi acquisti di emergenza, analizziamo alcuni acquisti per contrastare la pandemia che, in virtù delle inchieste giornalistiche e poi delle procure, risultano in molti casi avventati e ricchi di sprechi e, in alcuni casi, a dir poco torbidi. Le indagini delle procure sono ancora nella fase iniziale ma potrebbero segnare davvero la fine dell’età dell’innocenza del Movimento 5 Stelle. Quello che è certo è che le investigazioni si stanno concentrando su alcuni personaggi che ruotano attorno all’ex Premier Conte. Dopo l’intermediazione di Mario Benotti sulle mascherine spunta infatti un altro emblematico personaggio collegato all’ex Premier Conte, si tratta dell’avvocato Luca Di Donna.

L’INCHIESTA SU LUCA DI DONNA

Tornando alle inchieste sugli affidamenti dei bandi per le forniture dei presidi di sicurezza tra i nomi su cui sta indagando la Procura di Roma per traffico di influenze illecito spicca anche quello di un avvocato, Luca Di Domma, ex collega di studio di Giuseppe Conte, accusato di essersi fatto pagare per facilitare alcuni appalti durante l’emergenza COVID-19

A denunciare in procura Di Donna è stato un imprenditore umbro, Giovanni Buini, titolare di un’azienda produttrice di dispositivi sanitari di protezione. In questo giro di influenze, amicizie e mascherine, è infatti inciampato anche lui Giovanni Buini: l’imprenditore di Perugia.  Di questa vicenda, complessa, si è cominciato a parlare nei primi giorni di ottobre (2021) quando è emersa questa nuova indagine della Procura di Roma.

La denuncia dell’imprenditore umbro Giovanni Buini:

Buini, titolare di una società produttrice di dispositivi di protezione, ha raccontato ai pm romani che l’avvocato Luca Di Donna (ex socio di Giuseppe Conte) e l’avvocato Gianluca Esposito gli avevano chiesto di riconoscergli una provvigione per essere meglio introdotto con la struttura commissariale di Domenico Arcuri. Buini non aveva accolto l’invito ed aveva denunciato tutto ai carabinieri di Roma.

Di Donna è un ex membro dello studio legale Alpa, lo stesso a cui appartiene l’ex presidente del Consiglio e capo politico del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte (oltre che Guido Alpa, il mentore di Conte). Oltre a lui sono indagati i suoi due soci, Gianluca Esposito e Valerio De Luca e altre undici persone. Secondo l’accusa, Di Donna e i suoi soci avrebbero utilizzato il nome e la conoscenza dell’ex presidente del Consiglio Conte per proporre ad alcuni imprenditori la possibilità di ottenere più facilmente appalti pubblici. Si sarebbero proposti come mediatori che avrebbero messo in contatto l’imprenditore con le strutture ministeriali e di governo.

In particolare, questo sarebbe avvenuto durante l’emergenza legata alla pandemia, quando Di Donna avrebbe contattato tra gli altri produttori di mascherine, kit per test molecolari e respiratori proponendo consulenze che in realtà sarebbero state, secondo la Procura, pagamenti per essere introdotti nel mondo politico romano. Giuseppe Conte ha spiegato che in effetti, in quanto socio dello studio legale di Guido Alpa, frequentava Di Donna. Ha però aggiunto di non aver mai più avuto contatti con lui dopo essere stato nominato presidente del Consiglio, il 31 maggio 2018.

Nel 2020, Buini fornì una partita di mascherine alla struttura commissariale di Domenico Arcuri, con l’intenzione poi di ampliare il rapporto con forniture più consistenti. Un conoscente presentò poi Di Donna ed Esposito a Buini. Secondo quanto ha raccontato l’imprenditore in Procura, i due avvocati avrebbero fatto leggere a Buini un articolo in cui lo stesso Di Donna veniva dipinto come fedelissimo del capo del governo. Buini poi ha spiegato ai magistrati di essersi insospettito, e in seguito ha denunciato Di Donna e gli altri. La struttura commissariale rifiutò poi la fornitura di mascherine da parte di Buini, anche se non sono chiare le motivazioni.

Secondo il Corriere della Sera, Esposito in particolare avrebbe spiegato a Buini che c’erano altri imprenditori divenuti milionari proprio grazie a quello che chiamava «il metodo del prof» (Di Donna è docente di Diritto privato all’università La Sapienza di Roma).

Non solo: all’incontro tra Di Donna e l’imprenditore Buini era presente anche Enrico Tedeschi, numero tre dell’Aise, l’agenzia di informazioni e sicurezza esterna. Al tempo Conte era il capo dei servizi segreti, avendo tenuto la delega.

Ma perché c’era un generale dei servizi segreti al fianco dell’avvocato Luca Di Donna, mentre il legale cercava di concordare la propria intermediazione per la fornitura di mascherine nel pieno dell’emergenza Covid? L’indagine della Procura di Roma in cui Di Donna è indagato per associazione a delinquere e traffico di influenze illecite passa anche da questa domanda.

Le indagini della Procura di Roma si stanno concentrando anche su altri casi, simili a quello denunciato da Buini. All’attenzione dei magistrati ci sarebbe per esempio un contratto per la fornitura da parte della società Adaltis di test molecolari per cui Di Donna, De Luca ed Esposito avrebbero ricevuto un compenso di 380.000 euro. Non c’è nessuna irregolarità nei bonifici, ma per la Procura si tratterebbe di «remunerazione indebita della mediazione illecita, in quanto occulta e fondata su relazioni personali con pubblici ufficiali della struttura commissariale». Dopo appalti di test molecolari per quasi 2 milioni e mezzo di euro, nel 2020, Di Donna, Esposito e De Luca hanno ricevuto bonifici che secondo i pubblici ministeri «non trovano, allo stato, lecita spiegazione».

ZINGARETTI E LE MASCHERINE FANTASMA

È impossibile dimenticare lo scandalo delle famose mascherine fantasma di Zingaretti, comprate dalla Regione Lazio ma mai arrivate.

La vicenda: siamo in piena emergenza, la Protezione Civile non riesce a rifornire tutte le Regioni e gli ospedali di dispositivi di sicurezza, quindi le Regioni cercano di attrezzarsi nel miglior modo. La regione Lazio cerca di approvvigionarsi, con procedure di urgenza vari presidi di sicurezza, tra i quali le mascherine.

In questa situazione, essendoci la necessità e l’urgenza di approvvigionarsi di questi materiali non si seguono le procedure del codice degli appalti e quindi si acquista tutto con una commissione diretta (quindi senza gara e senza le procedure di evidenza pubblica). La cosa particolare è che la selezione del fornitore di queste mascherine è un po’ particolare. Perché l’azienda che è stata individuata dalla Regione Lazio per acquistare 35 milioni di euro di mascherine è la società Eco. Tech Srl, selezionata tra una serie di aziende senza avere (almeno a prima vista) i giusti requisiti: si tratta di una piccola srl di Frascati specializzata in lampade di design.

Andando a vedere i bilanci di questa azienda si possono cogliere diverse anomalie: questa azienda lo scorso anno ha fatturato un milione di euro, e i materiali che commercializzano sono i led, la compagine sociale di questa azienda è composta da tre persone (uno di questi cinese) e la sede di questa società, da quanto emerge dai giornali, si troverebbe a Roma, presso un’abitazione privata.

Quindi la Regione Lazio per approvvigionarsi di mascherine (un presidio così importante per la sicurezza dei cittadini) sceglie di rivolgersi ad una società che per fatturato e struttura è decisamente sottodimensionata rispetto la commessa che è stata fatta (un milione di euro di fatturato nel 2019, 35 milioni di euro di commessa). Tanto è vero che poi alla fine le mascherine non verranno consegnate. Su questa vicenda sta indagando Procura e conte dei Conti.

Le mascherine sono state acquistate pagando un acconto di circa 11 milioni – per una fornitura di 9,5 milioni di dispositivi facciali. Di mascherine alla fine ne sono arrivate solo 1,4 milioni e quasi tutte chirurgiche (l’ordine prevedeva oltre 7 milioni di Ffp2 e Ffp3). 

Questa società quindi non soltanto non ha consegnato la merce ma detiene ancora quasi il 50% della somma pattuita. Ciò che mise in allarme la procura della Corte dei Conti è stato il fatto che l’affidamento diretto fosse stato condotto in una maniera non usuale, perché al momento dell’acquisto era stata fissata una data di consegna che non è stata rispettata, la Regione prima non ha revocato la commessa, poi rivolta ad altri fornitori, ha finalmente annullato la commessa ma poi l’ha riassegnata nuovamente a quella stessa società.

Generalmente se il contraente non rispetta i vincoli previsti nella fornitura è sottoposto al pagamento di una penale, ed anche in questo caso c’era una penale, che era di 10mila euro al giorno. Ora aver revocato la commessa e averla poi successivamente riaffidata ha generato sicuramente una situazione di grande vantaggio per il contraente che non aveva rispettato questi termini di consegna, ma la cosa che lascia più perplessi è come si possa pensare che una società commerciale così sottodimensionata e senza struttura (che non si occupava tra l’altro della produzione di mascherine) sia in grado di reggere il peso di una commessa da 35 milioni di euro. La Regione Lazio di fronte a queste inevitabili perplessità si è sempre difesa dicendo che la Eco. Tech si appoggia a un’altra società (quindi non è la Eco. Tech direttamente a produrre mascherine) alla quale è affiliata, con sede in Svizzera, e che viene dichiarata proprio dalla Regione Lazio come una società autorizzata a distribuire i prodotti della 3M, nota multinazionale americana fra i principali produttori di mascherine. Ma qui casca l’asino, perché di fronte alle dichiarazioni della Regione Lazio interviene la 3M negando di avere nel loro elenco distributori sia la Eco. Tech che la Exor (società alla quale la Eco. Tech sarebbe associata).

Una situazione davvero torbida che solo la magistratura potrà chiarire. Quello che è certo è che sono stati buttati circa 11 milioni per delle mascherine mai arrivate.

POCHI TAMPONI: Decine di milioni spesi in mascherine fantasma e poi si scopre che il Lazio aveva comprato, ad inizio pandemia, appena 150 mila tamponi, sufficienti per 75mila persone dato che per certificare la guarigione il test viene ripetuto. I laboratori privati si erano messi a disposizione ma gli uffici di Zingaretti hanno risposto che era troppo costoso.

ANCHE IL NOME DI D’ALEMA NELL’INCHIESTA SULLE MASCHERINE

Dalle intercettazioni dell’inchiesta romana relativa alla vendita di mascherine e 430 mila camici emerge un ruolo anche per il presidente Fondazioni Italiani-Europei (che al momento non è indagato). Il ruolo di Luigi Bisignani e della sottosegretaria Maria Cecilia Guerra[4]

Gli indagati hanno fatto il suo nome parlando al telefono o sono stati pedinati mentre entravano nella sede della fondazione da lui presieduta. Per questo motivo l’ex premier Massimo D’Alema verrà ascoltato, come persona informata sui fatti, dai pubblici ministeri che si occupano dell’inchiesta relativa alla vendita di 5 milioni di mascherine e 430 mila camici, forniture che secondo i pm sarebbero state spacciate come dispositivi di protezione individuale sebbene non avessero superato “la necessaria procedura di validazione”. I pm hanno intenzione di convocare anche la sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra.

Gli indagati Vittorio Farina e Roberto De Santis inoltre sarebbero stati pedinati mentre si recavano nella sede della Fondazione Italiani-Europei, fondata e presieduta proprio da D’Alema. L’ipotesi è quella che gli indagati avrebbero avvicinato D’Alema per ottenere un incontro con Arcuri.

Una noia per l’ex premier, già coinvolto nella vendita all’Italia di 140 ventilatori non a norma, passati per una società cinese controllata dalla Silk Road Cities Alliance di Pechino, della quale D’Alema è presidente onorario. Sul punto, lui in un’intervista al Corriere della Sera, però, rivendica il suo ruolo, sostenendo di «aver dato una mano a recuperare dei ventilatori», di fatto anticipando i soldi per lo Stato con l’associazione di cui fa parte e negando che fossero difettosi o non conformi.

Nel mirino degli inquirenti sono finiti Andelko Aleksic, rappresentante dell’azienda che ha fornito i dispositivi di protezione individuale “sospetti”, la European Network TLC, il suo delegato Vittorio Farina e anche Domenico Romeo, l’amministratore di un’azienda londinese che avrebbe procurato la falsa certificazione CE. Secondo gli investigatori i quattro si sarebbero attivati “spinti unicamente dal desiderio di sfruttare lo stato emergenziale in un momento di gravissima crisi della popolazione italiana”.  E così hanno venduto dispositivi di protezione individuale soprattutto in Sicilia e nel Lazio. Nulla di strano se non fosse che, ritiene la finanza, quelle forniture non sarebbero state accompagnate da certificati che ne attestassero la qualità.

C’è anche un altro episodio che interessa gli inquirenti: (da il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2021 “Le forniture alle scuole, il ruolo di Arcuri e le intercettazioni con Bisignani: cosa c’è nelle carte dell’inchiesta sulle mascherine nel Lazio” di Vincenzo Bisbiglia): “Il 30 ottobre il broker Salvatore Spagna gli parla di “un detector diagnostico” che “in 50 millesimi di secondo ti dà il 96 punto 5 di certezza che è Covid (…) costa 99.000 euro” ed è “ancora più conveniente dei tamponi perché tu puoi fare un numero di tamponi illimitati”. Una “roba immensa tu pensa che un contratto da 1000 pezzi so 99 milioni”. Farina fiuta l’affare ma Spagna ha un problema “io purtroppo questo materiale non posso mandarlo in giro, ma c’è Speranza (Roberto, il ministro, ndr) (…)”. Farina, per gli inquirenti “fa intendere di avere capito”. Il 16 novembre, Farina e Spagna, pedinati, vengono avvistati a Piazza Farnese, mentre entrano presso la sede della fondazione Italiani Europei presieduta da Massimo D’Alema, della quale, annotano gli inquirenti, fa parte anche la sottosegretaria al Mef, Maria Cecilia Guerra, “citata in diverse intercettazioni”. “Quei tamponi sono già al vaglio di Guerra”, dice Aleksic in un’altra telefonata. Il 17 novembre, alle ore 16.30, ancora Farina e Spagna, pedinati, entrano presso la sede del Ministero della Salute. Il giorno dopo, Farina chiama Spagna e gli chiede se è stato “chiamato da Roma?”, ma Spagna “riferisce di non essere stato contattato da nessuno e chiede a sua volta a Farina” se “il Max non interviene, no?”. Il giorno successivo, il 19 novembre, Farina riferisce a Spagna: “Non si è fatto vivo nessuno… lasciamoli valutare”.

[1] https://roma.repubblica.it/cronaca/2021/10/19/news/covid_maxi_sequestro_mascherine_italia_indagati_arcuri-322870350/

[2] https://www.acapo.it/

[3] https://www.affaritaliani.it/coronavirus/figliuolo-arcuri-senza-primule-risparmiati-189-milioni-di-euro-744135.html?refresh_ce

[4] https://quifinanza.it/editoriali/il-nome-di-dalema-nellinchiesta-sulle-mascherine-cosa-centra-per-i-giudici/481532/

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