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Premesso che:

nel mese di agosto 2020, il Ministero della salute, mediante la circolare della Direzione generale della prevenzione sanitaria (DGPRE.9/I.4.d.a.1 7/2019/1), ha comunicato l’aggiornamento delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”;

il 12 agosto l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), coerentemente con le nuove indicazioni ministeriali, ha modificato le procedure fino a quel momento vigenti per l’uso dei farmaci abortivi, con la determina n. 865/2020 (20A04486) (Gazzetta Ufficiale n. 203 del 14 agosto 2020), recante “Modifica delle modalità di impiego del medicinale per uso umano ‘Mifegyne’ a base di mifepristone (RU486)”;

tra le principali e più controverse novità introdotte dalle nuove linee di indirizzo, vi è la possibilità di effettuare le interruzioni volontarie di gravidanza farmacologiche (IVG) “presso strutture ambulatoriali/consultori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati all’ospedale ed autorizzati dalla Regione”;

in particolare, si legge che “L’équipe del consultorio familiare, dove sia possibile effettuare un percorso ambulatoriale, provvederà a somministrare il trattamento farmacologico in autonomia, garantendo gli spazi idonei e il personale dedicato. In alternativa, il consultorio si deve raccordare con la struttura ospedaliera che prenderà in carico la donna (…). La prima somministrazione farmacologica di mifepristone (RU486) potrebbe essere comunque compito del consultorio”;

nel testo viene poi indicata la possibilità di rivolgersi al consultorio anche nel corso della terza giornata, vale a dire, con riferimento alla fase “espulsiva”;

considerato che:

sebbene la vigente legge n. 194 del 1978 abbia inteso affidare al consultorio un ruolo di sostegno alla maternità difficile, tale ruolo è diretto (coerentemente alla ratio della normativa e come si evince segnatamente dall’articolo 5) al perseguimento della finalità (mediante azioni di sostegno alla rimozione delle cause che porterebbero all’interruzione di gravidanza e alla promozione di ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna) di evitare, ove possibile, di ricorrere all’aborto: non certo, dunque, come proposto dalle nuove linee d’indirizzo ministeriali, a quello di effettuare gli interventi di interruzione di gravidanza;

al di là degli aspetti di carattere normativo, e segnatamente, alla dubbia compatibilità tra le nuove linee guida e la normativa vigente, e senza in questa sede volersi soffermare sulle implicazioni di carattere etico, sussistono, e non possono essere trascurati, ulteriori e prioritari elementi di preoccupazione in ordine ai profili di sicurezza e ai rischi per la salute delle donne, insiti nelle nuove procedure di accesso e somministrazione dei farmaci mifepristone e prostaglandine;

al riguardo si evidenzia come il medesimo documento con cui il Consiglio superiore di sanità, il 4 agosto, ha reso un parere favorevole alle linee guida, non ha tuttavia rinnegato (ma anzi ha riproposto e confermato) il precedente orientamento con il quale si ammette l’impossibilità di prevedere le tempistiche abortive in relazione alla somministrazione farmacologica;

in particolare, il parere fa rinvio alla nota del 6 luglio 2020, che costituisce parte integrante del medesimo documento, trasmessa dalla SIGO (Società italiana di ginecologia e ostetricia), nel quale si legge che “non esiste tuttavia la possibilità di prevedere quando l’effetto del mifepristone inizia e soprattutto di avere certezza dell’efficacia. Per tale motivo non è prevedibile la tempistica reale dell’aborto, che può variare significativamente sul piano della risposta individuale e anche in base ad altri fattori (…). Il tempo di efficacia può quindi variare significativamente da poche ora a qualche giorno”, e che “la donna deve sapere che non è possibile stimare a priori il momento dell’espulsione dell’embrione”;

proprio in considerazione di queste valutazioni del Consiglio superiore di sanità (contenute peraltro anche in tre precedenti pareri resi nelle sedute del 2004, 2005 e 2010 e confermate e ribadite da quest’ultimo), le precedenti linee di indirizzo del Ministero prevedevano il ricovero ordinario per tre giorni, al fine di garantire che l’aborto avvenisse in una struttura pubblica (come previsto dalla legge n. 194 del 1978) a garanzia e tutela della salute della donna;

le nuove linee di indirizzo, dunque, pur in presenza di comprovati dei gravi elementi di incertezza, sia in ordine alle tempistiche che all’efficacia del trattamento farmacologico che vengono espressamente richiamati dal parere del Consiglio superiore di sanità, esplicitamente ed in diversi punti ammettono comunque la possibilità di abortire al di fuori delle strutture ospedaliere;

si tratta, in particolare, di una possibilità prevista e ammessa, anzitutto, fra i criteri non clinici di accesso alla procedura, laddove si escludono le donne con “condizioni abitative troppo precarie, con impossibilità di raggiungere il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico entro 1 ora”;

inoltre e analogamente, nella parte relativa alla procedura farmacologica, tra le prescrizioni relative: a) al primo giorno della procedura, laddove si prevede l'”invio a domicilio della paziente dopo 30 minuti dalla somministrazione del mifepristone”; b) al secondo giorno di procedura, laddove si specifica che “la donna è a domicilio”; c) tra le prescrizioni relative al terzo giorno, laddove, paradossalmente, trapela proprio la preoccupazione per la frequenza con cui l’espulsione si verificherà in ambiente domiciliare: “per ridurre i casi di espulsione a domicilio il protocollo prevede la somministrazione distanziata di 2-3 dosi di prostaglandine”;

è utile ricordare come ai sensi e per gli effetti della legge n. 194 del 1978, costituisce reato (ed è dunque punibile ai sensi del successivo articolo 19) effettuare interventi IVG al di fuori di specifiche strutture del Sistema sanitario nazionale, elencate dall’articolo 8, e tra tali strutture non è previsto il domicilio della paziente;

si evidenzia come la legge n. 194, relativamente alle strutture autorizzate a praticare l’interruzione di gravidanza non sia cambiata, mentre nell’ultimo parere del Consiglio superiore di sanità ammette che la fase espulsiva, che è la più delicata, potrà con le nuove indicazioni avvenire fuori dalla struttura sanitaria ed anche in strutture diverse da quelle indicate dalla legge,

si chiede di sapere:

come il Ministro in indirizzo ritenga di poter conciliare la legge n. 194 del 1978 con le indicazioni contenute nelle nuove linee guida, che prevedono esplicitamente che l’aborto, nelle sue fasi più delicate, possa avvenire fuori dalle strutture sanitarie pubbliche citate espressamente dall’art. 8 della legge n. 194 ed in carenza di condizioni strutturali tali da garantire un’adeguata tutela per la salute delle donne;

se, in ragione dei dubbi relativi alla compatibilità tra le nuove linee di indirizzo ministeriali con la normativa vigente, nonché e prioritariamente, dei profili di rischio per la salute delle donne connesse alla riconosciuta e accertata imprevedibilità delle tempistiche di efficacia dei trattamenti farmacologici oggetto delle medesime linee di indirizzo, non valuti l’opportunità di procedere al ritiro delle stesse linee guida.

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