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L’intervista di Paola Di Caro

È il suo momento: nei sondaggi Fratelli d’Italia ormai affianca il Pd come secondo partito, il suo libro va a gonfie vele, sui social crescono i consensi, forse porterà a casa – oggi potrebbe essere il giorno del vertice decisivo – il candidato a lei più gradito per Roma, Enrico Michetti. E, ciliegina sulla torta, Giorgia Meloni ha appena ricevuto un invito per giovedì dal premier: «Gli avevo chiesto incontri periodici e cadenzati anche con l’opposizione, perché riteniamo di poter dare il nostro contributo. Apprezzo che Draghi ci abbia ascoltato».

Essere unica opposizione sta pagando, ma cosa andrà a dire a Draghi per portare a casa un risultato? «Il risultato non lo cerco per me, ma per gli italiani. Ho detto che avremmo fatto un’opposizione patriottica e responsabile, non cambio idea. Quindi solleverò il tema delle limitazioni della libertà personale che non può più essere sottaciuto, insisterò perché si acceleri quanto più possibile sulle riaperture interrompendo la continuità di azione – su questo piano – con il governo Conte».

Come Salvini e Letta, chiederà garanzie sul blocco dei licenziamenti? «Purtroppo non basta bloccare i licenziamenti per salvare posti di lavoro, bastasse un editto del governo sarebbe tutto più facile. Il vero problema da affrontare è che il 40% delle aziende rischia la chiusura, con il risultato che milioni di italiani finirebbero per strada in ogni caso».

L’alternativa quale è? «Bisogna concentrarsi sula tenuta delle imprese, sulla loro continuità. Per paradosso, imponendo il blocco dei licenziamenti si favoriscono i più spregiudicati, quelli che non si fanno scrupolo a chiudere l’attività, licenziando tutti e magari non pagando tasse e fornitori, per poi riaprire una nuova attività con una diversa ragione sociale. Dovremmo invece aiutare gli imprenditori che assicurano la continuità di impresa. Noi abbiamo proposto per esempio l’unificazione degli anni fiscali 2020-21 per pagare le tasse giuste nel 2022, e un regime fiscale di favore per chi resiste e mantiene i livelli occupazionali. E poi porteremo a Draghi temi trascurati, ne cito solo due: possibile che con situazioni disastrose come quelle della rete infrastrutturale, i Benetton possano scaricare i loro debiti miliardari sulla Cassa depositi e prestiti prima che tanti lavori siano messi in sicurezza? Possibile che non si possa almeno rimandare a fine pandemia l’entrata in vigore del nuovo regolamento dell’agenzia bancaria europea per cui, con un minimo di scoperto, un cittadino o una impresa possono vedersi precluso l’accesso al credito? Sono tante le cose da fare».

Battaglie che per Salvini il centrodestra dovrebbe fare unito, a partire dall’Europa. «Da presidente dei Conservatori europei dico che il mio obiettivo è proprio allargare la nostra casa, con chi nel Ppe si sente subalterno al peso del Pse e chi nei gruppi di destra vuole uscire da un certo velleitarismo anti-europeo e contribuire a creare una nuova Europa con più forza e concretezza. Sono i conservatori europei la casa di questo percorso. E sono processi lunghi e complessi, non si risolvono in uno schioccar di dita. E non riguardano solo le dinamiche italiane, ma quelle di decine di Stati e movimenti politici».

E in Italia? Salvini sembra pensare ad un asse con FI e una federazione, tanto più ora che si guerreggia al centro col partito di Toti e Brugnaro. Un modo per metterla a margine? «Personalmente non ho velleità di fusione, credo l’esperienza del Pdl abbia dimostrato quanto sia difficile quel percorso. Ma escludo che una eventuale federazione o unione tra Lega e FI possa nascere per isolare FdI, perché senza di noi si perde, lo dicono i numeri. Semmai, un maggior coordinamento delle forze del centrodestra di governo serve per opporsi all’aggressività della sinistra. Sul partito di Brugnaro, considero naturale che la politica si adatti alla realtà del momento. Io ho fondato un partito che va bene, la diversità è ricchezza, non è un problema se ne nascono altri. L’importante è sapere per fare cosa».

In questo clima, è oggi che sceglierete i candidati per le Comunali? «Possibile. Quello che voglio io è vincere, non partecipare, non piantare bandierine. Spero che tutti vogliano la stessa cosa».

E l’uomo giusto a Roma è Michetti, candidato che non a tutti piace? «Ci sono diversi nomi sul tavolo, ma confesso che il nervosismo della sinistra su Michetti mi ha colpito. Evidentemente si rendono conto che è più attrezzato dei loro numerosi e divisi candidati. Lui è quello che i sindaci chiamano per risolvere i problemi dei sindaci. Come in Pulp Fiction , è il Mr Wolf dei sindaci, con però anche un gran carico di empatia…».

Ma se i suoi alleati non fossero convinti e si tornasse all’idea di candidare politici, come Lupi a Milano o Gasparri a Roma? «Abbiamo confermato nell’ultimo vertice che le migliori figure sono le civiche: ci permettono di allargare i confini. Resta la strada da seguire».

Nella corsa al Quirinale lei sosterrebbe Draghi o no? «Parlare oggi di Draghi al Quirinale è prematuro, e mi pare che in molti lavorino contro questa ipotesi, anche perché vorrebbe dire la fine della legislatura. C’è molto tempo ancora».

E lei lo sfrutta anche sui social, dove – ha scritto il Corriere della Sera – è il politico che movimenta più la rete. È tempo di cambiare target, messaggio, strategia, basta piazze? «In questi tempi siamo stati anche costretti a comunicare via social, per le restrizioni del Covid, ma non ho affatto intenzione di abbandonare la politica sul territorio o di sostituirla. Come tutti, ci adeguiamo ai tempi, ma se funzioniamo sui social non è perché adottiamo chissà quali armi segrete: ho sempre la stessa squadra, siamo sempre noi. Se cresci è perché vince il tuo messaggio, la sostanza di quello che dici e fai, non il mezzo con cui lo diffondi».

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