L’intervista di Vincenzo R. Spagnolo
«Io prima donna italiana a diventare premier? Proprio non ci penso. Non brigo per arrivare da nessuna parte, cerco solo di essere all’altezza del compito e di non deludere chi ha fiducia in me. Se andrò a Palazzo Chigi, saranno gli elettori italiani a deciderlo…». Neppure gli ultimi sondaggi, che danno Fratelli d’Italia al 19% e la popolarità di Giorgia Meloni superiore di un punto percentuale a quella del leader leghista Matteo Salvini, inducono la presidente di FdI a sbilanciarsi.
La tempra è quella di sempre, forse un po’ addolcita dal sapere che la sua autobiografia («Io sono Giorgia», Mondadori, 336 pagine) appena uscita è già seconda nella classifica di vendite. Un racconto dei suoi 44 anni, che inizia con l’abbandono della famiglia da parte del padre e non tralascia nulla, sul piano personale e politico: dall’ingresso a 15 anni nel Fronte della Gioventù del Msi, agli attacchi («L’accusa di razzismo mi perseguita dal primo giorno, insieme a quella di fascista, è l’epiteto con cui ti squalificano rendendoti indegna di una risposta») fino alla fede cattolica: a Messa con la nonna da bambina, la figura di padre Guido, parroco della Garbatella, l’incontro in udienza con Papa Woityla… «La fede è una parte di me, la benzina della mia vita. Ricordo di Giovanni Paolo II la capacità di affrontare la vita con forza, nonostante la progressione della malattia. Un insegnamento per me, nelle difficoltà quotidiane».
Vicepresidente della Camera a 29 anni, con An. Poi ministro nel governo Berlusconi. Quindi l’addio al Pdl e l’avventura di Fdi. Ora è l’unica donna leader di un partito italiano e presidente dei Conservatori e riformisti europei. Si sente una rarità? In Italia lo sono. Ma in Europa e nel resto del mondo, ci sono leadership femminili forti e autorevoli. Forse noi donne italiane dovremmo solo acquisire più consapevolezza delle nostre capacità, invece di attendere che siano gli uomini a ‘indicarci’ per posti di responsabilità.
L’Europa come modello. Ma non era antieuropeista? Mi fa sorridere che mi diano dell’antieuropeista. Vengo da una parte politica che ballò sulle macerie del muro di Berlino cantando «Europa Nazione». Ma credo in un’Europa confederale, non nell’attuale costruzione europea, che non si occupa dei veri problemi delle persone, ma solo degli interessi di alcuni.
Nemmeno il Recovery fund è da apprezzare? Quello è stato un passo avanti. Ma non si può tacere la gestione inconcludente dell’approvvigionamento dei vaccini, con contratti capestro miliardari a favore delle multinazionali del farmaco. O la mancanza di un piano per la gestione di un’emergenza come questa.
Sull’immigrazione, lei invoca continuamente il blocco navale. Strumento inattuabile, ha ricordato su Avvenire il ministro Lamorgese, perché sarebbe un atto di guerra. Tutti parlano senza aver letto la nostra proposta, per non dovercisi confrontare. Proponiamo qualcosa di diverso da un atto di guerra: una missione europea per trattare con Tripoli; un blocco navale in collaborazione fra Ue e Libia che fermi le partenze; l’apertura di hot spot in Africa per valutare, col contributo dell’Onu le richieste di protezione umanitaria; e infine la suddivisione di quanti hanno diritto all’asilo nei 27 Stati.
C’è un blocco di cui, invece, chiedete la rimozione al governo: il coprifuoco serale. Perché? È una misura coercitiva e inutile ai fini del contenimento della pandemia. La salute è un diritto fondamentale, ma anche la libertà e occorre un equilibrio. In più le più grandi vittime della pandemia rischiano di essere i giovani: le scuole chiuse, il coprifuoco anti-movida. In un età critica, come l’adolescenza, sono stati privati di socialità, libertà, educazione. È una generazione ‘digitale’ che già filtrava rapporti ed emozioni attraverso lo schermo di smartphone e tablet, condizione che il lockdown ha aggravato. Ormai stiamo combattendo una sindemia, un insieme di problemi di salute, economici, sociali prodotti dalle conseguenze del contagio da Covid-19, i cui effetti deleteri saranno evidenti fra anni.
Perché un’autobiografia a 44 anni? Di solito i politici le pubblicano a fine carriera. Non è un’autobiografia, né un manifesto politico della destra. È un diario. L’ho scritto perché su di me si dicono cose inventate.
Per dirla con Jessica Rabbit, la disegnano così. Davvero? Già. Vengo descritta come una persona ‘ideologica’, che aderisce acriticamente a un’idea. Non è così. E perciò, ho deciso di raccontarmi per come sono, attraverso fatti belli o amari, ma significativi della mia vita. Inoltre, Fdi cresce e io potrei avere la possibilità di misurarmi con incarichi di peso. Questo libro mi ricorderà chi sono, da dove vengo e i miei valori, per non tradirmi e non tradire chi ha fiducia in me.
Il titolo «Io sono Giorgia» è mutuato da un video-tormentone. Come vive le frecciate satiriche? Se non fossi autoironica, non sarei sopravvissuta alla mole di insulti e derisioni quotidiane. A volte ho fornito spunti alle mie imitatrici. Credo che i ragazzi del video abbiano fatto un autogol: mi ha dato una popo-larità fra i giovanissimi che non mi sarei attesa.
Fdi, all’opposizione, cresce nei sondaggi. Il Carroccio è in calo. I rapporti fra lei e Salvini sono tesi? Non mi piace che si costruisca una rivalità. Salvini, come scrivo nel libro, ha una grande capacità di interpretare i sentimenti della gente. Io sono diversa, ma ora la mia fermezza sta pagando.
Ma la sua scelta non ha scavato un solco nel centrodestra? Sui candidati alle amministrative c’è accordo? Sulle amministrative decideremo la prossima settimana. E il centrodestra resterà unito, non c’è altra scelta. I nostri elettori ci vogliono al governo insieme.
Il libro si chiude con un messaggio a sua figlia Ginevra. Se andrà al governo, cosa farà per migliorare il futuro di chi oggi è bambino? In Italia servono regole certe, meritocrazia e soprattutto un cambio di mentalità. Dobbiamo recuperare orgoglio e consapevolezza di ciò che siamo. Ogni scelta discenderà da questo.