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La lettera del presidente di FdI e di ECR Party pubblicata dal Corriere della Sera

Caro direttore,

Angelo Panebianco nel suo articolo di ieri ha affermato, in sostanza, che la destra italiana è antieuropeista e che il patriottismo è sì «un sentimento sano» senza il quale «Stato e democrazia non possono funzionare efficacemente», ma che noi di destra del patriottismo rappresentiamo una caricatura sovranista.

In breve, saremmo degli «impresentabili» che, se governassero l’Italia, la porrebbero ai margini dell’Unione Europea. Da qui il consiglio ad allearci «con coloro che più contano in Europa». Il che, immagino, significhi con Merkel, Macron, Ppe e Pse. 

Il messaggio, semplice, è che fuori da questo perimetro non sia possibile esprimere un governo in Italia. Si tratta di una tesi che viene sostenuta con sempre maggiore insistenza, in modo sofisticato da firme autorevoli come Panebianco, in modo più grezzo come fatto da De Benedetti, il quale ha candidamente affermato in tv che «l’Europa non consentirà un governo di destra», o in modo strumentale, come hanno fatto Nicola Zingaretti e diversi esponenti di maggioranza sostenendo che con la destra al governo non sarebbero arrivate le risorse del Recovery fund. Certamente si tratta di una teoria rassicurante per la sinistra italiana in costante crisi di identità e di consenso, ma rimane molto distante dalla realtà dei fatti. 

Del resto, se fosse davvero così, come si spiegherebbe la mia recente elezione a presidente dei Conservatori europei, formazione che racchiude quaranta partiti europei e occidentali? Parliamo di una delle più importanti e storiche famiglie politiche continentali. Sostenere che esista vita solo nell’attuale equilibrio non è rispettoso nei confronti di milioni di europei che – pur considerando l’Europa una grande occasione – si identificano in una diversa visione politica circa la sua integrazione. Quella comunità politica si incontra proprio in questi giorni per ribadire la sua visione d’Europa basata su un modello confederale, alternativo al modello federalista, per una Ue che condivida le grandi sfide – politica estera, difesa, mercato comune – e lasci maggiore libertà nelle questioni più prossime alla vita quotidiana dei cittadini. 

Non si tratta di una tesi eretica, ma di una visione che ha avuto sempre pieno diritto di cittadinanza, ancor prima dei Trattati di Roma del 1957, e che noi ancora rivendichiamo: è il sogno di Charles De Gaulle, che parlava di una comunità di Stati liberi e sovrani. È l’Europa delle Patrie che la destra italiana ha sempre incarnato e che anche Fratelli d’Italia oggi interpreta.

Cosa significa «modello confederale» nel concreto? Per fare due esempi, la nostra Europa parlerebbe con una sola voce in Libia e avrebbe un unico piano di contrasto delle pandemie, quella che va di moda oggi non lo fa. Chi sta onorando e chi tradendo lo spirito dei padri fondatori? Ciò che caratterizza Fratelli d’Italia non è certo un nazionalismo ostile nei confronti degli altri Stati europei, come si prova a raccontare. 

Denunciamo, da patrioti, un assetto europeo incentrato oramai sullo strapotere di un asse franco-tedesco che sta progressivamente minando la coesione tra gli Stati europei e penalizzando in particolare l’Italia.

È da veri europeisti accettare in silenzio l’assurdità del trattato di Aquisgrana in base al quale Francia e Germania si accordano tra loro sui grandi temi prima di affrontarli in ambito europeo? È da veri europeisti non porre il problema del costante surplus commerciale tedesco che sta destabilizzando l’eurozona ed è fonte di attrito con i nostri partener extraeuropei, Stati Uniti in testa? È da veri europeisti far finta di non vedere che la riforma del Mes è un pessimo affare per gli Stati fortemente indebitati (come l’Italia) e una ottima opportunità per chi ha grandi banche sistemiche zeppe di derivati (come la Germania)? 

Come cambiano le cose, direttore. Ricordo che un socialista come Mitterrand e un popolare come Andreotti erano fortemente contrari alla riunificazione tedesca, dicendo che la Germania unita sarebbe stata troppo potente e avrebbe destabilizzato l’Europa.

Noi a destra, invece, festeggiavamo la caduta del Muro di Berlino. Oggi gli «europeisti» non reputano più un problema lo strapotere tedesco, anche se è la principale causa della Brexit e delle tensioni all’interno della Ue.

Noi, oggi come trent’anni fa, continuiamo invece a sostenere che l’unica Unione possibile tra i popoli europei sia quella basata su equilibri rispettosi degli Stati membri, nella consapevolezza di una identità comune che è anche destino comune. Per quella Europa, per il suo futuro, continueremo a batterci, e in Europa non siamo soli.

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