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«L’attacco di alcuni magistrati nei confronti di politici considerati nemici ha raggiunto livelli inquietanti»

L’editoriale del presidente di FdI pubblicato dal quotidiano “La Verità” il 26 maggio 2020

Caro Direttore,

mi ha molto colpito il silenzio della quasi totalità della classe politica sul caso Salvini-pm. In pochissimi hanno espresso solidarietà all’ex ministro o parole di condanna verso esponenti della magistratura che dichiaravano la necessità di utilizzare la giustizia che amministrano per colpire ingiustamente un esponente politico non gradito. Ma al di là del calcolo politico, o del timore reverenziale che la politica tende ad avere nei confronti della magistratura, credo che in cuor loro in molti si rendano conto della enorme portata del tema. Lo si potrebbe chiamare «effetto Robespierre». Da decenni l’aggressione di taluni pm nei confronti di personaggi politici ritenuti ostili si realizza depositando intercettazioni telefoniche o ambientali che li riguardino nelle redazioni delle testate giornalistiche, prima ancora che nelle segreterie degli uffici giudiziari: accade anche quando il contenuto della conversazione captata non ha alcun rilievo penale, ma lo ha invece sul piano mediatico.

Un bel giorno – e da un po’ questi giorni si moltiplicano – accade che chi ha ordinato di mandare alla ghigliottina finisce pure lui decollato: fuor di metafora, colloqui intercettati che coinvolgono pm vengono diffusi pur non contenendo evidenti notizie di reato, con palese discredito del magistrato oggi caduto in disgrazia. Nella vicenda Salvini-pm c’è anche questo, e tuttavia quasi nessuno ne ha fatto cenno. Assistiamo, cioè, al costante inquinamento della vita istituzionale – fino a qualche tempo fa del governo e del Parlamento, adesso anche della giurisdizione – con l’uso indebito delle intercettazioni. Che il sistema lasci a desiderare è così evidente che lo ha capito perfino l’attuale governo, atteso che uno dei tanti decreti legge prodotti in questo periodo ha disposto l’ennesima proroga dell’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni: la legge di riforma risale a tre anni fa, il decreto attuativo è stato varato dal governo Gentiloni, poi sono iniziati i rinvii.

Ci sarà una ragione se dopo tanto tempo la riforma non è mai divenuta operativa? Non è forse il caso di rivederla? Noi pensiamo di sì. Fra i suoi aspetti più preoccupanti, vi è la mancata definizione delle modalità tecniche per le intercettazioni eseguite col cosiddetto trojan, nonostante la richiesta del Garante della privacy perché siano dettate regole su limiti, strumenti e modalità con cui si intercetta, su come trasmettere e custodire i dati, sull’integrità e sulla sicurezza di quanto captato.

La criminalità va combattuta, ma con mezzi trasparenti e rispetto dei diritti. È un grave problema di tutela dei diritti fondamentali del singolo, ed è al tempo stesso una questione di sovranità tecnologica nazionale: si utilizzano strumenti stranieri, col rischio di ripercussioni in settori altamente sensibili per la sicurezza italiana. E gli accordi intercettati per recare danno (mediatico e politico) a Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno, e puntava ad arginare la migrazione irregolare? Chiedo: c’è bisogno di un trojan per farla emergere? È da tempo che settori della giurisdizione teorizzano non in modo occulto, ma su riviste e su chat partecipate da centinaia di utenti, il proprio ruolo di indirizzo in settori come l’immigrazione clandestina e la sicurezza pubblica: e spiegano come attraverso decreti e ordinanze sia possibile fermare l’azione di un governo che – per esempio ha deciso di fermare gli sbarchi.

È stato così dieci anni fa, durante i governi Berlusconi dei quali ho fatto parte, quando al Viminale c’era Roberto Maroni, e alcune Procure iscrivevano nel registro degli indagati i comandanti delle imbarcazioni della Guardia di finanza che in mare effettuavano le operazioni di respingimento: dopo averne parlato non al telefono, ma in riunioni di corrente. I procedimenti poi sono stati archiviati, ma l’effetto di interdizione è stato raggiunto. Il nodo della costante sovrapposizione giudiziaria all’attività politica andrà affrontato se e quando ci sarà un esecutivo non prono alle indebite iniziative di taluni pm: e andrà affrontato non in conflitto, ma d’intesa con quella parte della magistratura che non tollera certe invasioni di campo di propri colleghi. Per ragioni di principio, e per una certa cautela che deriva dall’esperienza di vita di Robespierre.

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