Grazie presidente! Gentili colleghe e colleghi; signori rappresentanti del governo! Le mozioni in discussione oggi in aula rappresentano uno dei momenti più alti dell’impegno politico-istituzionale di questa Camera.
Quando infatti parliamo di povertà e di indigenza, le statistiche si soffermano sui numeri della povertà in senso lato quasi fossero gli unici in grado di indicare il livello di bisogno degli esseri umani.
In realtà ci sono altri dati che purtroppo raramente vengono indicati e comunque difficilmente vanno sulla grande stampa. E sono quelli che indicano quanta gente anche in Italia ancora oggi soffra la fame. Persone che non hanno il pane quotidiano, né un piatto di minestra per trarre sostentamento per sé e per i propri figli.
In Italia sono oltre 4 milioni le persone che vivono sotto la soglia di povertà alimentare. Secondo una ricerca svolta dalla Fondazione per la sussidiarietà insieme alle università Cattolica e Bicocca di Milano, già prima della crisi economica nel 2009, erano 1 milione mezzo le famiglie, ovvero il 4,4% di quelle residenti in Italia, in condizioni di povertà alimentare spendendo per cibo e bevande un cifra inferiore a 222,29 euro…
Questo importo (che serviva nel 2009 ad acquistare beni primari come pane, pasta e carne) costituisce il limite minimo individuato su base nazionale, ma subisce delle oscillazioni se si considerano le diverse aree geografiche della Penisola. Per tenere conto del differente costo della vita, la ricerca aveva infatti individuato diversi indici a livello regionale: così le soglie di povertà variano a Nord tra i 233-252 euro, al centro tra i 207-233 euro e nel Mezzogiorno tra i 196-207 euro.
Questo è il dato che più di ogni altro ci chiama a responsabilità indifferibili, all’assunzione di decisioni che tutti ci auguriamo il governo voglia prendere, forte di un amplissimo mandato parlamentare.
Nel XIX secolo c’è stata una poesia di un grande scrittore inglese, Kipling, che indicava quale dovesse essere il ruolo dell’Occidente colonialista. Si chiamava ‘il fardello dell’uomo bianco’, diventato poi anche un saggio di un autore americano sulle origini dello schiavismo negli Stati Uniti d’America. Ecco parafrasando quel titolo vorrei capovolgerne il senso e parlare oggi, nella società opulenta e degli sprechi, nella società delle abbuffate e dei pranzi di rappresentanza, del ‘fardello dell’uomo grasso’. Giustamente nel corso del dibattito i colleghi hanno sottolineato le tonnellate di alimenti che vengono destinati al macero: a livello mondiale la Fao parla di 1mld e 300 milioni di tonnellate sprecate. Dati drammatici che rappresentano un ingente spreco di denaro-pubblico o privato e che sono soprattutto un’occasione mancata.
Ma si tratta di cifre che da sole hanno il limite di costituire un semplice un dato statistico, drammatico, ma asettico non in grado, a mio parere, di sommuovere gli animi e indurre singoli e comunità a tentare di risolvere questa contraddizione delle società avanzate. Una contraddizione che oggi può e deve essere superata.
Senza voler entrare in ragionamenti di storia del pensiero politico-economico, uno dei principali aspetti delle società liberali e liberiste è quello di consentire lo svilupparsi di movimenti tesi alla solidarietà sociale e alla cittadinanza attiva. E non a caso, proprio nelle società avanzate, si sta diffondendo il principio di Responsabilità Sociale d’Impresa che dai Paesi Occidentali d’Oltreoceano si sta diffondendo in tutte le società a capitalismo avanzato, soprattutto in Europa.
L’Italia da questo punto di vista è più fortunata degli altri Stati perché il principio di cooperazione sociale, intrinsecamente legato al ruolo del Cattolicesimo e delle Chiesa nel XIX secolo, aveva preconizzato molto prima questa strada. Ma a tutt’oggi ha il ‘limite’del volontarismo. Ci sono enti caritativi, come la Caritas, che svolgono al meglio il loro ‘lavoro’, ci sono tante strutture religiose e laiche che s’impegnano. E ci sono organizzazioni che da circa un decennio lavorano per recuperare i cibi che poi vengono distribuiti presso gli enti e associazioni caritative. Organizzazioni come il ‘Banco Alimentare’ o come ‘Last Minute Market’ che si fanno carico, grazie a volontari, di raccogliere gli avanzi ‘nobili’ delle mense, dei ristoranti, dei supermercati per distribuirle a queste strutture. Queste organizzazioni rappresentano la concretizzazione della sussidiarietà, quel principio sacrosanto ma mai tanto abusato ma tuttavia incomprensibile alla maggioranza degli italiani e delle stesse istituzioni che dovrebbero favorirla.
L’eccesso di cibo di cui ci alimentiamo costituisce uno dei fattori determinanti di squilibrio. Questa considerazione ci porta dritti lungo la retta via che è quella del riuso e del riciclo, di una maggiore responsabilità sociale in seno alle aziende e alle istituzioni. In Italia, secondo uno studio commissionato dal Barilla Center for Food & Nutrition vengono consumati circa 105 milioni di pasti, di cui il 76% in casa e il 24% fuori casa. Questo 24% corrisponde a 25milioni di pasti consumati in bar, ristoranti, mense aziendali. Al contempo ci sono stati soltanto nel 2013, grazie all’operosità dei volontari del Banco Alimentare 790.912 piatti pronti recuperati dall’ortofrutta, dalle industrie agroalimentare, dalla grande distribuzione organizzata e dai centri di distribuzione all’ingrosso. È ancora troppo poco il contributo in alimenti messo a disposizione dalle mense aziendali e dalla ristorazione.
Si potrebbe, si deve, fare di più anche dando il buon esempio. Per questo rivolgo un appello, che formalizzerò con una lettera alla presidente della Camera Laura Boldrini, di partecipare come Istituzione alla raccolta che il Banco Alimentare organizzerà per il 14 giugno e di sottoscrivere una donazione alimentare che possa irrobustire la quantità degli alimenti raccolti. Il 2014 peraltro è l’anno contro lo spreco alimentare.
L’impegno delle istituzioni su questo tema non può essere rimandato. Tutti siamo contro lo spreco alimentare e per trovare una soluzione al problema della povertà alimentare. Ma soltanto con l’esempio si passa dalle dichiarazioni d’intenti, a cui sono buoni tutti, alla parziale soluzione del problema facendo noi stessi la nostra parte. Per questo credo che si possa arrivare a un impegno congiunto che veda il governo e i ministeri della Salute, dell’Istruzione e dell’Università capofila di un programma di recupero dei pasti non consumati negli ospedali, nelle mense scolastiche e universitarie per poterli destinare alle strutture che lavorano alla loro re-distribuzione. Lo stesso dovrebbero fare tutti i ministeri che hanno mense e le amministrazioni periferiche dello Stato dove esista una ristorazione collettiva aziendale. Credo sia indispensabile promuovere buone pratiche. Forse non c’è neppure più bisogno di una nuova legge, ma potrebbero bastare semplici atti amministrativi dei ministeri competenti, e un accordo tra Stato-Regioni-Enti Locali.
Ci sono mense aziendali o istituzionali costrette a gettare gli avanzi intonsi dei pasti non consumati perché non esiste una rete capillare organizzata in grado di recuperare questa ricchezza. Fino a qualche anno fa, era addirittura vietato ridistribuire i pasti perché le leggi italiane e i regolamenti europei impedivano la distribuzione degli avanzi delle mense. Poi la situazione è cambiata grazie a una legge, la 115 del 2003, e anche l’Unione Europea ha cominciato a rendersi conto di quanto cibo per sfamare potesse essere recuperato. Per capire la grandezza del fenomeno basta sottolineare che da un ipermercato di grandi dimensioni sono state recuperate fino a 170 tonnellate di prodotti alimentari in un anno , che corrispondono a circa 300 pasti al giorno per un valore economico di circa 650.000 euro (stima sul valore di vendita dei prodotti recuperati). Gran parte dei prodotti recuperati sono referenze merceologiche fresche e altamente deperibili (frutta, carne, latticini, ecc).
Sarebbe opportuno immaginare uno strumento anche fiscale che consenta alle aziende che lavorano nel settore dell’alimentazione e della ristorazione di donare i cibi e le derrate alimentari prevedendo misure di premiali; e dall’altra intervenire affinché la raccolta di cibo non sia più basata sul volontarismo di operatori lungimiranti ma sia favorita e stimolata dalle istituzioni.
Un altro aspetto sul quale è necessario lavorare, e che è a mio avviso strettamente connesso, è il consumismo alimentare che crea patologie. Gli obesi in Italia sono oltre 6 milioni e il numero è destinato a crescere costantemente. Da una parte c’è una fetta popolazione ingorda, aziende sprecone, istituzioni disattente. C’è chi si ammala per eccesso di cibo. Sull’educazione alimentare i ministeri della Salute e dell’Istruzione non possono tirarsi indietro, spetta a loro un nuovo e più vigoroso intervento congiunto affinché nelle scuole si promuova tra i bambini e le famiglie un’equilibrata alimentazione orientata sì alla salvaguardia della salute e alla prevenzione delle malattie alimentari ma anche per promuovere la solidarietà nei confronti di chi non ha nulla. Prevedere anche una campagna che riconosca crediti formativi agli studenti che s’impegnino nella ridurre gli sprechi e la raccolta degli alimenti.
Ma l’impegno deve partire in primis da Palazzo Chigi. Sappiamo che la prima riforma indicata dal presidente del consiglio Renzi è quella del terzo settore, lo ha ribadito nella conferenza stampa post-elettorale.
Ecco, se Renzi volesse partire da qui, dalla promozione della raccolta degli alimenti da destinare a chi ha fame, sarebbe davvero un atto rivoluzione.
Noi di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale c’impegniamo a fare la nostra parte mettendo a disposizione la rete dei nostri militanti e strutture associative.
MOZIONE
La Camera,
premesso che:
la crisi economica che negli ultimi anni si è abbattuta sull’Italia ha colpito maggiormente le fasce sociali più deboli e ha determinato il passaggio alla povertà di numerose persone che prima si trovavano in una fascia di reddito anche medio bassa;
secondo l’indagine biennale di Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio in termini nominali è diminuito del 7,3%, e la ricchezza media del 6,9%, mentre la povertà è salita dal 14% del 2010 al 16% del 2012;
tra gli indici esaminati dall’Istat nei dati sulla povertà in Italia pubblicati lo scorso dicembre, dimostrano come, rispetto al 2011, nel 2012 è risultata fortemente in crescita la quota di persone che vivono in famiglie severamente deprivate, che passa dall’11,2 al 14,5 per cento, all’interno della quale si registra l’aumento dal 12,4 al 16,8 per cento delle persone che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni;
in modo particolarmente grave la povertà delle famiglie colpisce i bambini, un milione dei quali, secondo i dati di «Save the children» in Italia vivrebbero in una condizione di povertà assoluta, mentre sarebbero circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, come esemplificato nell’Atlante dell’Infanzia pubblicato dall’associazione, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale;
l’aiuto alimentare è il primo intervento concreto di sostegno che lo Stato deve garantire alle famiglie che vivono in condizioni di povertà, anche e soprattutto con riferimento ai bambini, che subiscono più pesantemente degli adulti i fenomeni di malnutrizione che ne possono derivare;
in questo ambito sul nostro territorio nazionale svolge una funzione fondamentale il Banco Alimentare, che grazie alle donazioni di centinaia di soggetti della filiera agroalimentare recupera eccedenze alimentari e le ridistribuisce gratuitamente ad associazioni ed enti caritativi, assicurando anche una diversificazione di prodotti che consente di garantire il più possibile un equilibrio nutrizionale a beneficio di quanti usufruiscono di un aiuto alimentare;
la rete del Banco alimentare recupera i prodotti alimentari attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento che donano le proprie eccedenze: l’Unione Europea, l’industria alimentare, la Grande Distribuzione Organizzata, la ristorazione collettiva;
nel 2013 la Fondazione Banco Alimentare, ha raccolto quasi 63.000 tonnellate di cibo, due terzi dei quali sono di provenienza UE, il resto devoluto dall’industria agroalimentare, recuperato dagli scarti della grande distribuzione e dei grossisti, ai quali si aggiungono oltre novemila tonnellate di donazioni personali, scatolette e confezioni raccolte durante la Giornata della Colletta alimentare, le donazioni dei privati, e i piatti pronti recuperati dalla ristorazione organizzata
in questo ambito assume un’importanza fondamentale la questione degli sprechi alimentari, rispetto alla quale, tuttavia, seppure si sono registrati forti miglioramenti continuano a persistere molteplici criticità sotto il profilo organizzativo per le organizzazioni che si occupano di recuperare e redistribuire il cibo altrimenti destinato alla spazzatura;
secondo le stime di alcuni ricercatori del Politecnico di Milano sarebbero addirittura sei milioni di tonnellate, per un valore pari a quasi tredici miliardi di euro, le eccedenze alimentari prodotte lungo tutta la filiera e irrimediabilmente perdute nei cassonetti, nei termovalorizzatori, nelle discariche, quasi la metà delle quali proviene da alimenti scaduti e buttati nelle nostre cucine;
il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha previsto l’istituzione presso l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura del «Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti» per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione mediante organizzazioni caritatevoli di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica Italiana, cui gli operatori della filiera agroalimentare possono destinare derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, secondo modalità stabilite dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
con la legge di stabilità 2014 il Fondo è stato rifinanziato, per il solo 2014, con dieci milioni di euro, una somma che appare a dir poco esigua a fronte delle esigenze registrate sul territorio nazionale;
nel frattempo, è cambiato anche lo scenario internazionale nella lotta agli sprechi alimentari e nei programmi di aiuti alimentari in favore dei singoli Paesi;
dal 1° gennaio 2014, infatti, sono cessati gli aiuti alimentari europei previsti dal Programme Européen d’aide Alimentaire aux plus Démunis (PEAD) ed è entrato in vigore il nuovo programma Fund for European Aid to the most Deprived (FEAD), che però ha dotazioni finanziarie più ridotte e richiede l’intervento integrativo degli stati membri;
per l’anno 2014 il FEAD ha assegnato all’Italia settanta milioni di euro (trenta in meno rispetto al programma precedente), ma il governo italiano non ha ancora provveduto a stanziare la quota necessaria per mantenere lo stesso livello di prestazioni, bloccando di fatto anche l’utilizzo della quota europea;
di conseguenza gli approvvigionamenti scarseggiano e in certe regioni, quali, ad esempio, la Calabria, si sta venendo a determinare una situazione critica, che ha spinto il Banco Alimentare, per la prima volta nella sua venticinquennale storia, ad una seconda Colletta alimentare, organizzata per il prossimo 14 giugno in tutti i supermercati italiani;
il Ministero dell’Ambiente ha dato il via all’elaborazione di un Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) nell’ambito del Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, che si dovrà concentrare in primo luogo sulla definizione di misure volte a ridurre la quantità di prodotti alimentari destinati al consumo che finiscono tra i rifiuti, anche attraverso una campagna di sensibilizzazione nazionale contro lo spreco alimentare in ambito domestico -:
impegna il Governo:
ad assumere tutte le iniziative necessarie a potenziare il sistema di aiuti alimentari in favore delle persone indigenti in Italia, incrementando i volumi e le tipologie di derrate alimentari, adottando strumenti efficaci al fine di combattere il fenomeno degli sprechi alimentari e sostenendo le iniziative di singoli e di associazioni realizzate allo stesso fine;
a promuovere iniziative di sensibilizzazione sul tema degli sprechi alimentari, al fine di diffondere una maggiore consapevolezza sia negli adulti che nei bambini;
a completare e dare piena attuazione al Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare;
a potenziare le dotazioni finanziarie del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, affinché attraverso di esso si possa concretamente agire a livello nazionale a sostegno delle famiglie che versino in stato di necessità;
a disporre tempestivamente lo stanziamento della quota integrativa del Fund for European Aid to the most Deprived, al fine di rendere immediatamente fruibile l’intera somma giacente sul Fondo destinata all’Italia;
ad attivarsi in sede internazionale affinché la quota stanziata per l’Italia dal FEAD sia adeguatamente incrementata, in considerazione del forte impatto sui redditi determinato in Italia dalla crisi economica internazionale.
G. MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA, TOTARO