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di Giorgia Meloni
13 giugno 2013 

(Versione integrale dell’editoriale pubblicato oggi da ‘Il Giornale’)

Nelle sconfitte, più che nelle vittorie, le analisi divergono spesso in ragione delle convenienze. È una legge che ho imparato a riconoscere, ma faccio fatica ad accettare. In particolare, mi amareggia il commento di queste ore sul tramonto della destra come risultato eclatante delle recenti amministrative. È l’analisi più in voga nell’area del centrodestra. Perché come al solito si preferisce la via più breve e meno impegnativa anziché l’unica capace di condurci a meta: la verità. Ignorata da più di vent’anni perché fa male ascoltarla. 

Primo, la destra non morirà mai. Potranno cadere le sue icone, fallire quegli uomini egoisti che usano la politica per trarre vantaggi personali e mantenere dei privilegi. Ma le idee non si cancellano, così come quella visione del mondo che è parte di noi, fondata su valori come vita, famiglia, patria, libertà, solidarietà, ecologia, identità, legalità, lavoro, modernità. 

No, le idee non si cancellano, ma si appannano se non si tenta di radicarle nella società. E questa è la responsabilità che devono sentire coloro che hanno condotto la destra in questi anni. E credo che neanche Berlusconi sia innocente al riguardo, perché aveva tutte le qualità per fondare il centrodestra in Italia e ha invece, troppo spesso, preferito riassumere solo in se stesso il senso della sfida al pensiero post-comunista. Eppure l’idea dell’università liberale, le attività di beneficenza e la costruzione di ospedali nel terzo mondo, la sua irruzione nella grande comunicazione come nell’editoria erano e restano ingredienti fondamentali per dare sostanza alla politica, per consentire a un modello culturale di consolidarsi e diventare riconoscibile. Era troppo aspettarselo? 

Ha prevalso la tattica, con somma gioia dei furbi. Quelli delle liste bloccate e dei ruoli dati per editto e simpatia, né per consenso, né per competenza, né per vocazione sociale. Quelli del “tanto Berlusconi prende i voti a prescindere”, che hanno così minato il futuro del centrodestra, lasciandolo a un presente piuttosto deprimente. 

 

Ha ragione il direttore Sallusti a titolare il suo ultimo editoriale sull’esito elettorale “No Silvio no party”, ma occorre ammettere che Berlusconi non crede nel territorio e nemmeno nel partito. E così il centrodestra si trova senza una seria organizzazione antagonista al Pd. Chi fa spallucce di un dato come quello appena uscito dalle urne (su 68 comuni al ballottaggio, appena 5 non vanno al centrosinistra), non ha capito la lezione degli ultimi vent’anni: per cambiare l’Italia si deve partire dal basso,  dalle sedi sparse nei quartiere, dai laboratori di idee, da scuole e università, da chi produce, dai mercati e dalle piazze, dalla famiglia e dal volontariato. Non si comincia dall’ultimo piano. 

Noi, che venivamo da destra, questa verità la conoscevamo. Perché ci è stato insegnato che se le idee non si trasformano in azioni, semplicemente non esistono. Radicare quelle idee nella società avrebbe dovuto essere il nostro specifico lascito negli anni straordinari in cui ci è stata data la possibilità di governare l’Italia a ogni livello. E invece è stata proprio l’incapacità di incidere davvero, in profondità, sul presente, il principale errore di una intera classe dirigente in questi anni.

Allora non è la destra che è morta. Sono solo tramontati quei colonnelli che hanno fatto finta di niente mentre la destra annaspava nell’acqua alta, come quelli che hanno preferito garantirsi una poltrona mentre tutti gli altri venivano falcidiati, o quelli che oggi sono rimasti disoccupati e s’interrogano sulla ricostruzione di Alleanza Nazionale. Se costoro avessero avuto pietà per il destino della destra avrebbero reagito in tempi più ragionevoli. E va dato atto a coloro che questo coraggio lo hanno avuto, quando potevano stare al sicuro. 

Non significa che non si debba ragionare per rimettere insieme un mondo. Perché dopo la caduta bisogna rialzarsi e guardare avanti. Significa però che si deve avere il coraggio di saltare nel domani a piedi pari, accettando la sfida del tempo e chi è in buona fede non esiterà a mettersi a disposizione, senza pretendere la scena. Spetta a un’altra generazione scrivere un nuovo capitolo di storia della destra, quelle preziose che ci hanno accompagnato fin qui ci proteggano dalle insidie, sminino la strada per i più giovani, costruiscano le condizioni per raggiungere il traguardo. 

Fratelli d’Italia si candida a essere il punto di partenza di questa sfida. Puntiamo dritti al futuro, e siamo pronti a incrociare la strada con tutti, ma senza pretese ne’ rimorsi. Abbiamo antiche ragioni e nuove emozioni cui dare una casa: la sfida all’Europa dei burocrati e della finanza, al materialismo cinico del terzo millennio che impoverisce le famiglie per ingrassare gli speculatori, al nuovo schiavismo cinese e indiano che prolifera per colpa di noi consumatori occidentali, alla casta dei privilegiati, quelli dei compensi d’oro intoccabili, totalizzati sottraendo lavoro e pensioni ai giovani di oggi. E molto altro ancora, senza retorica ma con determinata concretezza. Ecco, la destra che vogliamo porta i valori nel cuore ma vuole superare astrazioni e toni comiziali, tuffandosi nel progetto dell’Italia del terzo millennio. 

Con tenerezza e con forza, con gli uomini e le donne che vorranno crederci ancora. Come dice Dumas ne ‘Il conte di Montecristo’: “Le idee non muoiono. Sonnecchiano talvolta, per poi risvegliarsi più forti di prima”.

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