“Anche per Daniele Carella, di soli 21 anni, non c’è più niente da fare. Sotto i colpi di un piccone, in una sequenza da film horror, è morto sul colpo anche Alessandro Carolè, disoccupato di 40 anni. In gravi condizioni Ermanno Masini, di 64 anni.
Ora c’è chi accusa di speculazione i partiti che protestano perché non accettano tutto questo. Non è speculazione, è dovere civile. Un dovere che dovrebbe essere di tutti quanti, in primis di coloro che sono stati aggrediti per primi dal clandestino Kabobo e che avrebbero dovuto chiamare immediatamente il 113, perché era chiaro che quell’uomo era pericoloso. Così come avrebbe dovuto farlo il personale del pronto soccorso dove i primi feriti sono stati medicati. Bisogna finirla con la sottovalutazione della violenza. Questa mattina è stato un italiano a colpire a martellate alla testa delle persone a Palermo. E anche se le statistiche sono chiare e ci dicono che la maggior parte dei clandestini nel nostro paese delinque, c’è anche un altro problema a cui porre rimedio. In Italia la violenza deve realizzarsi al 100% prima che si possa intervenire con misure restrittive capaci di impedirlo. La pericolosità sociale non si risolve con TSO o con provvedimenti blandi che non salvano nessuno. Non si possono lasciare a loro stesse le persone con disturbi psichici che le rendono socialmente pericolose. Per quanto riguarda il caso di Milano, come purtroppo tanti altri in cui sono i clandestini a colpire, dobbiamo imparare che clandestino non significa diverso. Metterlo nella categoria dei diversi alimenta nei suoi confronti un senso di pietà e comprensione che possono giustificare atti di una gravità assoluta. Clandestino significa fuori dalla legalità. Ed è la legalità che gli organi dello Stato sono tenuti a osservare attenendosi alle leggi alla lettera e con poca discrezionalità quando si tratta di persone che hanno dimostrato una natura violenta, come Kabobo aveva più volte palesato già al suo arrivo in Italia. I clandestini sanno che possono chiedere asilo politico e che questo permette loro di non essere espulsi. Occorre dunque sveltire le pratiche di riconoscimento e, una volta stabilito che non ci sono i presupposti per l’asilo, impedire la possibilità di ricorso e riaccompagnare immediatamente la persona nel suo paese d’origine. In ogni caso la condizione eventuale di rifugiato politico o presunto tale non autorizza certo la violazione delle regole. Un clandestino attualmente non può essere espulso se ha dei processi in corso. Per ovviare a ciò occorre legare l’espulsione ad altri reati. O fare accordi bilaterali che permettono di fare i processi nel paese d’origine. In ogni caso mai sottovalutare l’indole violenta delle persone. Lasciare in giro questo fantasmi senza identità alla ricerca di qualcosa che difficilmente troveranno in un Paese che riesce a dare anche a chi è regolare poche possibilità, mette a rischio troppe esistenze. Troppe vite. Basta con la compassione riversata sempre su chi alla fine se ne approfitta per fare ciò che vuole, nella certezza che poi potrà sentirsi vittima di una società cattiva. Non è la società ad essere cattiva, sono i singoli. E vanno fermati”.
È quanto dichiara Barbara Benedettelli, responsabile nazionale del Dipartimento Tutela Vittime della Violenza.
Roma, 13 maggio 2013